Page 607 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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contento toccai con mano quel ch’io cercavo. Imperocché si scopersero
          molte macchie di color diverso dal resto, ma splendide e lustre quanto

          qualsivoglia più densa pietra dura; il resto del campo era pulito, ma al
          tatto  solamente,  non  essendo  punto  lustrante,  anzi  come  da  caligine

          annebbiato:  e  questa  era  la  sustanza  della  calamita;  e  la  splendida,  di
          altre  pietre  mescolate  tra  quella,  sì  come  sensatamente  si  conosceva

          dall’accostar la faccia spianata sopra limatura di ferro, la quale in gran
          copia saltava alla calamita, ma né pure una sola stilla alle dette macchie:

          le quali erano molte; alcune, grandi quanto la quarta parte di un’ugna;
          altre,  alquanto  minori;  moltissime  poi  le  piccole;  e  le  appena  visibili,
          quasi che innumerabili. Onde io mi assicurai, verissimo essere stato il

          mio  concetto,  quando  prima  giudicai  dover  la  sustanza  della  calamita
          esser non fissa e serrata, ma porosa o per meglio dire spugnosa, ma con

          questa differenza, che dove la spugna nelle sue cavità e cellule contiene
          aria o acqua, la calamita ha le sue ripiene di pietra durissima e grave,
          come  ci  dimostra  l’esquisito  lustro  che  esse  ricevono:  onde,  come  da

          principio  dissi,  applicando  la  superficie  del  ferro  alla  superficie  della
          calamita, le minime particelle del ferro, benché continuatissime forse più

          di quelle di qualsivoglia altro corpo (sì come ci mostra il lustrarsi egli
          più  di  qualsivoglia  altra  materia),  non  tutte,  anzi  poche,  incontrano

          sincera calamita, ed essendo pochi i contatti, debile è l’attaccamento; ma
          perché  l’armadura  della  calamita,  oltre  al  toccar  gran  parte  della  sua

          superficie,  si  veste  anco  della  virtù  delle  parti  vicine,  ancorché  non
          tocche,  essendo  esattamente  spianata  quella  sua  faccia  alla  quale  si
          applica  l’altra,  pur  similmente  bene  spianata,  del  ferro  da  esser

          sostenuto, il toccamento si fa di innumerabili minime particelle, se non
          forse  de  gl’infiniti  punti  di  amendue  le  superficie,  per  lo  che

          l’attaccamento ne riesce gagliardissimo. Questa osservazione, di spianar
          le  superficie  de  i  ferri  che  si  hanno  a  toccare,  non  fu  avvertita  dal

          Gilberti; anzi egli fa i ferri colmi, sì che piccolo è il lor contatto, onde
          avviene che minor assai sia la tenacità con la quale essi ferri si attaccano.

          SAGR.  Resto  dall’assegnata  ragione,  come  dissi  pur  ora,  poco  meno
          appagato che se ella fusse una pura dimostrazion geometrica; e perché si
          tratta  di  problema  fisico,  stimo  che  anco  il  Sig.  Simplicio  si  troverà

          sodisfatto, per quanto comporta la scienza naturale, nella quale ei sa che
          non si deve ricercar la geometrica evidenza.

          SIMP.  Parmi  veramente  che  il  Sig.  Salviati  con  bel  circuito  di  parole
          abbia sì chiaramente spiegata la causa di quest’effetto, che qualsivoglia



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