Page 884 - Giorgio Vasari
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suo agetto tetto a quel palazzo, e così l'ingegno del Cronaca seppe
               servirsi delle cose d'altri e farle quasi diventar sue. Il che non riesce a
               molti, perché il fatto sta non in aver solamente ritratti e' disegni di
               cose belle, ma in saperle accommodare secondo che è quello a che
               hanno a servire, con grazia, misura, proporzione e convenienza. Ma

               quanto fu e sarà sempre lodata questa cornice del Cronaca, tanto fu
               biasimata  quella  che  fece  nella  medesima  città  al  palazzo  de'
               Bartolini Baccio d'Agnolo, il quale pose sopra una facciata piccola e

               gentile  di  membra,  per  imitare  il  Cronaca,  una  gran  cornice  antica
               misurata a punto dal frontespizio di Monte Cavallo, ma tornò tanto
               male,  per  non  avere  saputo  con  giudizio  accommodarla,  che  non
               potrebbe star peggio e pare sopra un capo piccino una gran berretta.
               Non basta agl'artefici, come molti dicono, fatto ch'egli hanno l'opere,

               scusarsi con dire: elle sono misurate a punto dall'antico e sono cavate
               da' buoni maestri, atteso che il buon giudizio e l'occhio più giuoca in
               tutte le cose, che non fa la misura de le seste.

               Il Cronaca dunque condusse la detta cornice con grande arte, insino
               al mezzo intorno intorno a quel palazzo, col dentello et uovolo, e da

               due  bande  la  finì  tutta,  contrapesando  le  pietre  in  modo  perché
               venissino bilicate e legate, che non si può veder cosa murata meglio,
               né condotta con più diligenza a perfezzione. Così anche tutte l'altre
               pietre  di  questo  palazzo  sono  tanto  finite  e  ben  commesse  ch'elle

               paiono  non  murate,  ma  tutte  d'un  pezzo.  E  perché  ogni  cosa
               corrispondesse  fece  fare  per  ornamento  del  detto  palazzo  ferri
               bellissimi per tutto e le lumiere che sono in su' canti, e tutti furono da
               Niccolò  Grosso  Caparra,  fabro  fiorentino,  con  grandissima  diligenza

               lavorate. Vedesi in quelle lumiere maravigliose le cornici, le colonne, i
               capitegli e le mensole saldate di ferro con maraviglioso magistero. Né
               mai ha lavorato moderno alcuno di ferro machine sì grandi e sì difficili
               con tanta scienza e pratica. Fu Niccolò Grosso persona fantastica e di

               suo capo, ragionevole nelle sue cose e d'altri, né mai voleva di quel
               d'altrui.  Non  volse  mai  far  credenza  a  nessuno  de'  suoi  lavori,  ma
               sempre voleva l'arra. E per questo Lorenzo de' Medici lo chiamava il
               Caparra  e  da  molti  altri  ancora  per  tal  nome  era  conosciuto.  Egli

               aveva appiccato alla sua bottega una insegna, ne la quale erano libri
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