Page 763 - Giorgio Vasari
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inalberato una storta, mena con stizza un colpo, per tagliar tutte a
               due le mani a coloro, che con forza digrignando i denti, tentano con
               fierissima attitudine di difendere la loro bandiera; oltra che in terra
               fra le gambe de' cavagli v'è due figure in iscorto, che combattendo
               insieme,  mentre  uno  in  terra  ha  sopra  uno  soldato,  che  alzato  il

               braccio quanto può, con quella forza maggiore gli mette alla gola il
               pugnale,  per  finirgli  la  vita:  e  quello  altro  con  le  gambe  e  con  le
               braccia sbattuto, fa ciò che egli può per non volere la morte. Né si

               può  esprimere  il  disegno  che  Lionardo  fece  negli  abiti  de'  soldati,
               variatamente variati da lui; simile i cimieri e gli altri ornamenti, senza
               la maestria incredibile che egli mostrò nelle forme e lineamenti de'
               cavagli: i quali Lionardo meglio ch'altro maestro fece, di bravura, di
               muscoli  e  di  garbata  bellezza.  Dicesi  che  per  disegnare  il  detto

               cartone fece uno edifizio artificiosissimo che, stringendolo, s'alzava,
               et allargandolo, s'abbassava. Et imaginandosi di volere a olio colorire
               in  muro,  fece  una  composizione  d'una  mistura  sì  grossa,  per  lo

               incollato  del  muro,  che  continuando  a  dipignere  in  detta  sala,
               cominciò a colare, di maniera che in breve tempo abbandonò quella,
               vedendola  guastare.  Aveva  Lionardo  grandissimo  animo  et  in  ogni
               sua azzione era generosissimo. Dicesi che andando al banco per la
               provisione, ch'ogni mese da Piero Soderini soleva pigliare, il cassiere

               gli volse dare certi cartocci di quattrini; et egli non li volse pigliare,
               rispondendogli:  "Io  non  sono  dipintore  da  quattrini".  Essendo
               incolpato d'aver giuntato da Piero Soderini fu mormorato contra di lui;

               per che Lionardo fece tanto con gli amici suoi, che ragunò i danari e
               portolli per ristituire, ma Piero non li volle accettare.

               Andò  a  Roma  col  duca  Giuliano  de'  Medici  nella  creazione  di  papa
               Leone, che attendeva molto a cose filosofiche e massimamente alla
               alchimia, dove formando una pasta di una cera, mentre che caminava
               faceva  animali  sottilissimi  pieni  di  vento,  ne  i  quali  soffiando,  gli

               faceva  volare  per  l'aria;  ma  cessando  il  vento,  cadevano  in  terra.
               Fermò in un ramarro, trovato dal vignaruolo di Belvedere, il quale era
               bizzarrissimo,  di  scaglie  di  altri  ramarri  scorticate,  ali  a  dosso  con
               mistura d'argenti vivi, che nel moversi quando caminava tremavano;

               e fattogli gl'occhi, corna e barba, domesticatolo e tenendolo in una
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