Page 710 - Giorgio Vasari
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pitture di Raffaello, desiderava veder l'opere sue; ma già vecchio et
agiato, si godeva la sua Bologna. Avvenne appresso che Raffaello
fece in Roma per il cardinal de' Pucci Santi IIII una tavola di S.
Cecilia, che si aveva a mandare in Bologna per porsi in una cappella
in S. Giovanni in Monte, dove è la sepoltura della beata Elena
dall'Olio; et incassata, la dirizzò al Francia, che come amico gliela
dovesse porre in sull'altare di quella cappella, con l'ornamento come
l'aveva esso acconciato. Il che ebbe molto caro il Francia, per aver
agio di veder, sì come avea tanto disiderato, l'opere di Raffaello. Et
avendo aperta la lettera che gli scriveva Raffaello, dove e' lo pregava
se ci fusse nessun graffio che e' l'acconciase e similmente
conoscendoci alcuno errore come amico lo correggesse, fece con
allegrezza grandissima ad un buon lume trarre della cassa la detta
tavola. Ma tanto fu lo stupore che e' ne ebbe e tanto grande la
maraviglia, che conoscendo qui lo error suo e la stolta presunzione
della folle credenza sua, si accorò di dolore e fra brevissimo tempo se
ne morì. Era la tavola di Raffaello divina, e non dipinta ma viva, e
talmente ben fatta e colorita da lui, che fra le belle che egli dipinse
mentre visse, ancora che tutte siano miracolose, ben poteva
chiamarsi rara. Laonde il Francia mezzo morto per il terrore e per la
bellezza della pittura che era presente agl'occhi, et a paragone di
quelle che intorno di sua mano si vedevano, tutto smarrito la fece con
diligenzia porre in S. Giovanni in Monte, a quella cappella dove
doveva stare, et entratosene fra pochi dì nel letto, tutto fuori di se
stesso, parendoli esser rimasto quasi nulla nell'arte appetto a quello
che egli credeva e che egli era tenuto, di dolore e malinconia, come
alcuni credono, si morì essendoli advenuto, nel troppo fisamente
contemplare la vivissima pittura di Raffaello, quello che al Fivizano
nel vagheggiare la sua bella Morte, de la quale è scritto questo
epigramma:
Me veram pictor divinus mentre recepit.
Admota est operi, deinde perita manus.
Dumque opere in facto defigit lumina pictor