Page 658 - Giorgio Vasari
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lodata che Antonio facesse già mai. Conciò sia che per andare egli
imitando la natura il più che e' poteva, fece in uno di que' saettatori,
che appoggiatasi la balestra al petto si china a terra per caricarla,
tutta quella forza che può porre un forte di braccia in caricare
quell'instrumento; imperò che e' si conosce in lui il gonfiare delle
vene e de' muscoli et il ritenere del fiato, per fare più forza. E non è
questo solo ad essere condotto con avvertenza, ma tutti gl'altri
ancora, con diverse attitudini, assai chiaramente dimostrano
l'ingegno e la considerazione, che egli aveva posto in questa opera,
la qual fu certamente conosciuta da Antonio Pucci, che gli donò per
questo trecento scudi, affermando che non gli pagava appena i colori,
e fu finita l'anno 1475. Crebbeli dunque da questo l'animo et a San
Miniato, fra le torri, fuor della porta, dipinse un S. Cristofano di dieci
braccia, cosa molto bella e modernamente lavorata, e di quella
grandezza fu la più proporzionata figura che fusse stata fatta fino a
quel tempo. Poi fece in tela un Crucifisso con S. Antonino, il quale è
posto alla sua cappella in S. Marco. In palazzo della Signoria di
Fiorenza lavorò alla porta della catena un S. Giovanni Battista; et in
casa Medici dipinse a Lorenzo Vecchio tre Ercoli in tre quadri, che
sono di cinque braccia, l'uno de' quali scoppia Anteo, figura
bellissima, nella quale propriamente si vede la forza d'Ercole nello
strignere, che i muscoli della figura et i nervi di quella sono tutti
raccolti per far crepare Anteo: e nella testa di esso Ercole si conosce
il digrignare de' denti, accordato in maniera con l'altre parti, che fino
a le dita de' piedi s'alzano per la forza; né usò punto minore
avvertenza in Anteo, che stretto dalle braccia d'Ercole, si vede
mancare e perdere ogni vigore, et a bocca aperta rendere lo spirito.
L'altro ammazzando il leone, gli appunta il ginocchio sinistro al petto
et afferrata la bocca del leone con ammendue le sue mani, serrando i
denti e stendendo le braccia, lo apre e sbarra per viva forza, ancora
che la fiera per sua difesa, con gli unghioni malamente gli graffi le
braccia. Il terzo, che ammazza l'Idra, è veramente cosa maravigliosa,
e massimamente il serpente, il colorito del quale così vivo fece e sì
propriamente, che più vivo far non si può. Quivi si vede il veleno, il
fuoco, la ferocità, l'ira, con tanta prontezza che merita esser
celebrato e da' buoni artefici in ciò grandemente imitato.