Page 513 - Giorgio Vasari
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da  Giulio  Romano  discepolo  et  erede  di  Raffaello  da  Urbino,  e  dal
               Giovio posti nel suo museo a Como. In Milano, sopra la porta di S.
               Sepolcro, ho veduto un Cristo morto di mano del medesimo, fatto in
               iscorto;  nel  quale,  ancora  che  tutta  la  pittura  non  sia  più  che  un
               braccio d'altezza, si dimostra tutta la lunghezza dell'impossibile, fatta

               con facilità e con giudizio. Sono ancora di sua mano in detta città, in
               casa  del  marchesino  Ostanesia,  camere  e  loggie  con  molte  cose
               lavorate  da  lui  con  pratica  e  grandissima  forza  negli  scorti  delle

               figure. E fuori di porta Versellina, vicino al castello, dipinse a certe
               stalle  oggi  rovinate  e  guaste,  alcuni  servidori  che  stregghiavano
               cavalli, fra i quali n'era uno tanto vivo e tanto ben fatto, che un altro
               cavallo tenendolo per vero, gli tirò molte coppie di calci.

               Ma tornando a Piero della Francesca, finita in Roma l'opera sua, se ne
               tornò al Borgo, essendo morta la madre; e nella Pieve fece a fresco

               dentro  alla  porta  del  mezzo,  due  Santi,  che  sono  tenuti  cosa
               bellissima.  Nel  convento  de'  frati  di  S.  Agostino  dipinse  la  tavola
               dell'altar maggiore, che fu cosa molto lodata, et in fresco lavorò una
               Nostra Donna della Misericordia in una Compagnia, o vero, come essi

               dicono,  Confraternita;  e  nel  Palazzo  de'  Conservadori  una
               Resurezzione di Cristo, la quale è tenuta dell'opere che sono in detta
               città  e  di  tutte  le  sue,  la  migliore.  Dipinse  a  S.  Maria  di  Loreto,  in
               compagnia di Domenico da Vinegia il principio d'un'opera nella volta

               della  sagrestia;  ma  perché  temendo  di  peste,  la  lasciarono
               imperfetta, ella fu poi finita da Luca da Cortona, discepolo di Piero,
               come si dirà al suo luogo. Da Loreto venuto Piero in Arezzo, dipinse
               per  Luigi  Bacci  cittadino  aretino  in  S.  Francesco  la  loro  capella

               dell'altar maggiore, la volta della quale era già stata cominciata da
               Lorenzo di Bicci, nella quale opera sono storie della croce, da che i
               figliuoli d'Adamo, sotterrandolo, gli pongono sotto la lingua il seme
               dell'albero, di che poi nacque il detto legno; insino alla esaltazione di

               essa croce, fatta da Eraclio imperadore, il quale portandola in su la
               spalla a piedi e scalzo, entra con essa in Ierusalem; dove sono molto
               belle  considerazioni  e  attitudini  degne  d'esser  lodate,  come,
               verbigrazia,  gl'abiti  delle  donne  della  reina  Saba,  condotti  con

               maniera dolce e nuova; molti ritratti di naturale antichi e vivissimi; un
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