Page 319 - Giorgio Vasari
P. 319

dipinta  da  Pietro  Laurati  sanese  fece  Antonio  il  corpo  del  beato
               Oliverio, insieme con l'abate Panuzio e molte cose della vita loro in
               una  cassa  figurata  di  marmo,  la  qual  figura  è  molto  ben  dipinta.
               Insomma tutte quest'opere che Antonio fece in Camposanto sono tali
               che universalmente et a gran ragione sono tenute le migliori di tutte

               quelle che da molti eccellenti maestri sono state in più tempi in quel
               luogo lavorate; perciò che, oltre i particolari detti, egli lavorando ogni
               cosa a fresco e non mai ritoccando alcuna cosa a secco fu cagione

               che insino a oggi si sono in modo mantenute vive nei colori, ch'elle
               possono, ammaestrando quegli dell'arte, far loro conoscere quanto il
               ritoccare  le  cose  fatte  a  fresco  poiché  sono  secche  con  altri  colori,
               porti,  come  si  è  detto  nelle  teoriche,  nocumento  alle  pitture  et  ai
               lavori, essendo cosa certissima che gl'invecchia e non lascia purgargli

               dal  tempo  l'esser  coperti  di  colori  che  hanno  altro  corpo,  essendo
               temperati  con  gomme,  con  draganti,  con  uova,  con  colla  o  altra
               somigliante cosa, che appanna quel di sotto e non lascia che il corso

               del tempo e l'aria purghi quello che è veramente lavorato a fresco
               sulla calcina molle, come avverrebbe se non fussero loro sopraposti
               altri colori a secco.

               Avendo Antonio finita quest'opera che, come degna in verità d'ogni
               lode  gli  fu  onoratamente  pagata  da'  Pisani  che  poi  sempre  molto
               l'amarono, se ne tornò a Firenze, dove a Nuovoli fuor della porta al

               Prato, dipinse in un tabernacolo a Giovanni degl'Agli un Cristo morto,
               con molte figure, la storia de' Magi et il dì del Giudizio, molto bello.
               Condotto poi alla Certosa, dipinse agl'Acciaiuoli, che furono edificatori
               di  quel  luogo,  la  tavola  dell'altar  maggiore,  che  a'  dì  nostri  restò

               consumata  dal  fuoco,  per  inavvertenza  d'un  sagrestano  di  quel
               monasterio, che avendo lasciato all'altare appiccato il turibile pien di
               fuoco, fu cagione che la tavola abruciasse, e che poi si facesse, come
               sta  oggi,  da  que'  monaci  l'altare  interamente  di  marmo.  In  quel

               medesimo luogo fece ancora il medesimo maestro, sopra un armario
               che  è  in  detta  capella,  in  fresco  una  Trasfigurazione  di  Cristo  ch'è
               molto  bella;  e  perché  studiò,  essendo  a  ciò  molto  inchinato  dalla
               natura,  in  Dioscoride  le  cose  dell'erbe,  piacendogli  intendere  la

               proprietà e virtù di ciascuna d'esse, abandonò in ultimo la pittura e
   314   315   316   317   318   319   320   321   322   323   324