Page 230 - Giorgio Vasari
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chiamato a Pistoia da que' signori, gli fu fatto dipignere l'anno 1346 la
cappella di S. Iacopo, nella volta della quale fece un Dio Padre con
alcuni Apostoli, e nelle facciate le storie di quel Santo, e
particolarmente quando la madre, moglie di Zebedeo, dimanda a
Gesù Cristo che voglia i due suoi figliuoli collocare uno a man destra,
l'altro a man sinistra sua nel regno del Padre. Appresso a questo è la
decollazione di detto Santo, molto bella.
Stimasi che Maso detto Giottino, del quale si parlerà di sotto, fusse
figliuolo di questo Stefano; e sebbene molti per l'allusione del nome
lo tengono figliuolo di Giotto, io, per alcuni stratti che ho veduti, e per
certi ricordi di buona fede scritti da Lorenzo Ghiberti e da Domenico
del Grillandaio, tengo per fermo che fusse più presto figliuolo di
Stefano che di Giotto. Comunche sia, tornando a Stefano, se gli può
attribuire che dopo Giotto ponesse la pittura in grandissimo
miglioramento, perché oltre all'essere stato più vario nell'invenzioni,
fu ancora più unito nei colori e più sfumato che tutti gl'altri, e sopra
tutto non ebbe paragone in essere diligente. E quegli scorci che fece,
ancora che, come ho detto, cattiva maniera in essi per la difficultà di
fargli mostrasse, che è nondimeno investigatore delle prime difficultà
negli essercizii merita molto più nome, che coloro che seguono con
qualche più ordinata e regolata maniera. Onde certo grande obligo
avere si dee a Stefano perché chi camina al buio, e mostrando la via
rincuora gl'altri, è cagione che scoprendosi i passi difficili di quella,
dal cattivo camino con spazio di tempo si pervenga al disiderato fine.
In Perugia ancora nella chiesa di S. Domenico cominciò a fresco la
cappella di S. Caterina, che rimase imperfetta.
Visse ne' medesimi tempi di Stefano con assai buon nome Ugolino
pittore sanese suo amicissimo, il quale fece molte tavole e cappelle
per tutta Italia; sebbene tenne sempre in gran parte la maniera
greca, come quello che invecchiato in essa, aveva voluto sempre per
una certa sua caparbietà tenere piuttosto la maniera di Cimabue, che
quella di Giotto, la quale era in tanta venerazione. È opera, dunque,
d'Ugolino la tavola dell'altar maggiore di Santa Croce, in campo tutto
d'oro, et una tavola ancora che stette molti anni all'altar maggiore di
S. Maria Novella, e che oggi è nel capitolo, dove la nazione spagnola