Page 1593 - Giorgio Vasari
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molte capricciose invenzioni di giardini, paradisi, fuochi lavorati et
altre cose che troppo, raccontandole, farebbono lunga la nostra
storia. Fu anche bellissima invenzione quella di Luigi Martelli, quando
essendo signor della Compagnia, le diede cena in casa di Giuliano
Scali alla porta Pinti; perciò che rappresentò Marte per la crudeltà
tutto di sangue imbrattato, in una stanza piena di membra umane
sanguinose, in un'altra stanza mostrò Marte e Venere nudi in un letto,
e poco appresso Vulcano, che avendogli coperti sotto la rete, chiama
tutti gli dii a vedere l'oltraggio fattogli da Marte e dalla trista moglie.
Ma è tempo oggimai dopo questa, che parrà forse ad alcuno troppo
lunga digressione, che non del tutto a me pare fuor di proposito per
molte cagioni stata raccontata, che io torni alla vita del Rustico.
Giovanfrancesco adunque, non molto sodisfacendogli, dopo la
cacciata de' Medici l'anno 1528, il vivere di Firenze, lasciato d'ogni
sua cosa cura a Niccolò Boni, con Lorenzo Naldini cognominato
Guazzetto, suo giovane, se n'andò in Francia; dove, essendo fatto
conoscere al re Francesco da Giovambatista della Palla, che allora là
si trovava, e da Francesco di Pellegrino suo amicissimo che v'era
andato poco innanzi, fu veduto ben volentieri et ordinatogli una
provisione di cinquecento scudi l'anno. Dal qual Re, a cui fece
Giovanfrancesco alcune cose, delle quali non si ha particolarmente
notizia, gli fu dato a fare ultimamente un cavallo di bronzo due volte
grande quanto il naturale, sopra il quale doveva esser posto esso Re.
Laonde, avendo messo mano all'opera, dopo alcuni modelli, che
molto erano al Re piaciuti, andò continuando di lavorare il modello
grande et il cavo per gettarlo, in un gran palazzo statogli dato a
godere dal Re. Ma che che se ne fusse cagione, il Re si morì prima
che l'opera fusse finita; ma perché nel principio del regno d'Enrico,
furono levate le provisioni a molti e ristrette le spese della corte, si
dice che Giovanfrancesco, trovandosi vecchio e non molto agiato, si
viveva, non avendo altro, del frutto che traeva del fitto di quel gran
palagio e casamento che aveva avuto a godersi dalla liberalità del re
Francesco; ma la fortuna, non contenta di quanto aveva insino allora
quell'uomo sopportato, gli diede, oltre all'altre, un'altra grandissima
percossa; perché avendo donato il re Enrico quel palagio al signor