Page 141 - Giorgio Vasari
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cavarne profitto alcuno, sino al tempo detto di sopra. Gli ingegni che

               vennero  poi,  conoscendo  assai  bene  il  buono  dal  cattivo,  e
               abbandonando le maniere vecchie, ritornarono ad imitare le antiche
               con tutta l'industria et ingegno loro.

               Ma perché più agevolmente s'intenda quello che io chiami vecchio et
               antico,  antiche  furono  le  cose  innanzi  a  Costantino,  di  Corinto,

               d'Atene  e  di  Roma,  e  d'altre  famosissime  città,  fatte  fino  a  sotto
               Nerone, ai Vespasiani, Traiano, Adriano et Antonino; perciò che l'altre
               si chiamano vecchie, che da S. Salvestro in qua furono poste in opera
               da un certo residuo de' Greci; i quali piuttosto tignere che dipignere

               sapevano.  Perché  essendo  in  quelle  guerre  morti  gl'eccellenti  primi
               artefici,  come  si  è  detto,  al  rimanente  di  que'  Greci  vecchi,  e  non
               antichi, altro non era rimaso che le prime linee in un campo di colore;
               come  di  ciò  fanno  fede  oggidì  infiniti  musaici,  che  per  tutta  Italia

               lavorati  da  essi  Greci  si  veggono  per  ogni  vecchia  chiesa  di
               qualsivoglia città d'Italia, e massimamente nel Duomo di Pisa, in S.
               Marco  di  Vinegia,  et  ancora  in  altri  luoghi;  e  così  molte  pitture,
               continovando,  fecero  di  quella  maniera  con  occhi  spiritati  e  mani

               aperte in punta di piedi, come si vede ancora in S. Miniato fuor di
               Fiorenza fra la porta che va in sagrestia e quella che va in convento
               et  in  S.  Spirito  di  detta  città  tutta  la  banda  del  chiostro  verso  la
               chiesa, e similmente in Arezzo in S. Giuliano et in S. Bartolomeo et in

               altre  chiese,  et  in  Roma  in  S.  Pietro,  nel  vecchio,  storie  intorno
               intorno fra le finestre, cose che hanno più del mostro nel lineamento
               che effigie di quel ch'e' si sia.

               Di scultura ne fecero similmente infinite, come si vede ancora sopra
               la porta di S. Michele a piazza Padella di Fiorenza, di basso rilievo; et
               in Ogni Santi, e per molti luoghi, sepulture et ornamenti di porte per

               chiese, dove hanno per mensole certe figure per regger il tetto così
               goffe e sì ree, e tanto malfatte di grossezza e di maniera, che par
               impossibile che imaginare peggio si potesse.

               Sino a qui mi è parso discorrere dal principio della scultura e della
               pittura,  e  per  avventura  più  largamente  che  in  questo  luogo  non

               bisognava;  il  che  ho  io  però  fatto,  non  tanto  trasportato
               dall'affezzione dell'arte, quanto mosso dal benefizio et utile comune
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