Page 1258 - Giorgio Vasari
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conosciuta dagl'uffiziali di palazzo, era cagione che egli aveva sempre

               che fare per alcuni di loro; e lo faceva volentieri, per trattenersegli,
               onde  avessero  cagione  di  servirlo  ne'  pagamenti  delle  provisioni  et
               altre sue bisogne.

               Avevasi oltre ciò acquistata Perino un'autorità, che a lui si allogavano
               tutti  i  lavori  di  Roma;  perciò  che,  oltre  che  parea  che  in  un  certo

               modo  se  gli  dovessino,  faceva  alcuna  volta  le  cose  per  vilissimo
               prezzo. Nel che faceva a sé et all'arte poco utile, anzi molto danno. E
               che ciò sia vero, se egli avesse preso a far sopra di sé la sala de' re in
               palazzo e lavoratovi insieme con i suoi garzoni, vi arebbe avanzato

               parecchi centinaia di scudi, che tutti furono de' ministri che avevano
               cura  dell'opera  e  pagavano  le  giornate  a  chi  vi  lavorava.  Laonde,
               avendo egli preso un carico sì grande e con tante fatiche, et essendo
               catarroso et infermo, non poté sopportar tanti disagi, avendo il giorno

               e la notte a disegnare e sodisfare a' bisogni di palazzo e fare, non che
               altro,  i  disegni  di  ricami,  d'intagli  a  banderai  et  a  tutti  i  capricci  di
               molti ornamenti di Farnese e d'altri cardinali e signori. Et insomma,
               avendo sempre l'animo occupatissimo, et intorno scultori, maestri di

               stucchi,  intagliatori  di  legname,  sarti,  ricamatori,  pittori,  mettitori
               d'oro et altri simili artefici, non aveva mai un'ora di riposo. E quanto
               di bene e contento sentiva in questa vita, era ritrovarsi talvolta con
               alcuni amici suoi all'osteria, la quale egli continuamente frequentò in

               tutti  i  luoghi  dove  gl'occorse  abitare,  parendoli  che  quella  fusse  la
               vera beatitudine, la requie del mondo et il riposo de' suoi travagli.

               Dalle fatiche adunque dell'arte e da' disordini di Venere e della bocca
               guastatasi  la  complessione,  gli  venne  un'asima  che,  andandolo  a
               poco a poco consumando, finalmente lo fece cadere nel tisico; e così
               una  sera,  parlando  con  un  suo  amico  vicino  a  casa  sua,  di  mal  di

               gocciola  cascò  morto  d'età  d'anni  quarantasette.  Di  che  si  dolsero
               infinitamente  molti  artefici  come  d'una  gran  perdita  che  fece
               veramente la pittura. E da Messer Iosefo Cincio medico di madama,
               suo genero, e dalla sua donna gli fu nella Ritonda di Roma e nella

               cappella  di  San  Giuseppo  dato  onorata  sepoltura,  con  questo
               epitaffio:
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