Page 125 - Giorgio Vasari
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La  pittura  similmente  onorarono  e  con  premii  gli  antichi  Greci  e
               Romani,  poiché  a  coloro  che  la  fecero  maravigliosa  apparire,  lo
               dimostrarono  col  donare  loro  città  e  dignità  grandissime.  Fiorì
               talmente  quest'arte  in  Roma,  che  Fabio  diede  nome  al  suo  casato,
               sottoscrivendosi  nelle  cose  da  lui  sì  vagamente  dipinte  nel  Tempio

               della  Salute,  e  chiamandosi  Fabio  Pittore.  Fu  proibito  per  decreto
               publico  che  le  persone  serve  tal'arte  non  facessero  per  le  città;  e
               tanto onore fecero le gente del continuo all'arte et agli artefici, che

               l'opere rare, nelle spoglie de' trionfi come cose miracolose a Roma si
               mandavono;  e  gli  artefici  egregi  erano  fatti,  di  servi,  liberi  e
               riconosciuti  con  onorati  premii  dalle  republiche.  Gli  stessi  Romani
               tanta  riverenza  a  tali  arti  portarono  che,  oltre  il  rispetto  che,  nel
               guastare la città di Siragusa, volle Marcello che s'avesse a un artefice

               famoso  di  queste,  nel  volere  pigliare  la  città  predetta,  ebbero
               riguardo  di  non  mettere  il  fuoco  a  quella  parte  dove  era  una
               bellissima  tavola  dipinta;  la  quale  fu  di  poi  portata  a  Roma,  nel

               trionfo,  con  molta  pompa;  dove  in  spazio  di  tempo  avendo  quasi
               spogliato il mondo, ridussero gli artefici stessi e le egregie opere loro;
               delle  quali  Roma  poi  si  fece  sì  bella,  perché  le  diedero  grande
               ornamento le statue pellegrine, e più che le domestiche e particolari;
               sapendosi che in Rodi, città d'isola non molto grande, furono più di

               tremila  statue  annoverate  fra  di  bronzo  e  di  marmo,  né  manco  ne
               ebbero gli Ateniesi, ma molto più que' d'Olimpia e di Delfo, e senza
               alcun  numero  que'  di  Corinto,  e  furono  tutte  bellissime  e  di

               grandissimo  prezzo.  Non  si  sa  egli,  che  Nicomede,  re  di  Licia,  per
               l'ingordigia di una Venere che era di mano di Prasitele, vi consumò
               quasi tutte le ricchezze de' popoli? Non fece il medesimo Attalo? che
               per  avere  la  tavola  di  Bacco  dipinta  da  Aristide  non  si  curò  di
               spendervi  dentro  più  di  sei  mila  sesterzii:  la  qual  tavola  da  Lucio

               Mummio fu posta, per ornarne pur Roma, nel tempio di Cerere con
               grandissima pompa.

               Ma con tutto che la nobiltà di quest'arte fusse così in pregio, e' non si
               sa però ancora per certo chi le desse il primo principio. Perché, come
               già si è di sopra ragionato, ella si vede antichissima ne' Caldei; certi

               la danno all'Etiopi, et i Greci a se medesimi l'attribuiscono. E puossi,
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