Page 1039 - Giorgio Vasari
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servitori assai, cavalcature, et aveva la casa fornita di tapezzerie e
               d'argenti, et altri fornimenti e masserizie di valore; quando la fortuna,
               che non lascia mai o rarissime volte lungo tempo in alto grado chi
               troppo si fida di lei, lo fece nel più strano modo del mondo capitar
               male:  perché,  praticando  con  esso  lui,  come  dimestico  e  familiare,

               Francesco di Pellegrino fiorentino, il quale della pittura si dilettava et
               al Rosso era amicissimo, gli furono rubate alcune centinaia di ducati.
               Onde il Rosso, non sospettando d'altri che di detto Francesco, lo fece

               pigliare  dalla  corte,  e  con  esamine  rigorose  tormentarlo  molto.  Ma
               colui,  che  si  trovava  innocente,  non  confessando  altro  che  il  vero,
               finalmente relassato, fu sforzato, mosso da giusto sdegno, a risentirsi
               contra  il  Rosso  del  vituperoso  carico  che  da  lui  gli  era  stato
               falsamente apposto. Perché datogli un libello d'ingiuria, lo strinse in

               tal maniera, che il Rosso, non se ne potendo aiutare, né difendere, si
               vide a mal partito, parendogli non solo avere falsamente vituperato
               l'amico, ma ancora machiato il proprio onore, et il disdirsi, o tenere

               altri  vituperosi  modi,  lo  dichiarava  similmente  uomo  disleale  e
               cattivo.  Per  che  deliberato  di  uccidersi  da  se  stesso,  più  tosto  che
               esser castigato da altri, prese questo partito: un giorno che il re si
               trovava  a  Fontanableò  mandò  un  contadino  a  Parigi  per  certo
               velenosissimo  liquore,  mostrando  voler  servirsene  per  far  colori  o

               vernici,  con  animo,  come  fece,  d'avelenarsi.  Il  contadino  dunque
               tornandosene  con  esso  (tanta  era  la  malignità  di  quel  veleno)  per
               tenere  solamente  il  dito  grosso  sopra  la  bocca  dell'ampolla  turata

               diligentemente con la cera, rimase poco meno che senza quel dito,
               avendoglielo consumato e quasi mangiato la mortifera virtù di quel
               veleno,  che  poco  appresso  uccise  il  Rosso,  avendolo  egli,  che
               sanissimo era, preso, perché gli togliesse, come in poche ore fece, la
               vita. La qual nuova essendo portata al re senza fine gli dispiacque,

               parendogli aver fatto nella morte del Rosso perdita del più eccellente
               artefice  de'  tempi  suoi.  Ma  perché  l'opera  non  patisse,  la  fece
               seguitare a Francesco Primaticcio bolognese, che già gl'aveva fatto,

               come s'è detto, molte opere, donandogli una buona badia, sì come al
               Rosso avea fatto un canonicato.

               Morì il Rosso l'anno 1541, lasciando di sé gran disiderio agl'amici et
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