Page 1035 - Giorgio Vasari
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dare allegrezza di poterla vedere: dove figurò un popolo et un Cristo
               in aria adorato da quattro figure, e quivi fece Mori, Zingani e le più
               strane  cose  del  mondo;  e  da  le  figure  in  fuori,  che  di  bontà  son
               perfette, il componimento attende a ogni altra cosa, che all'animo di
               coloro che gli chiesero tale pittura. In quel medesimo tempo, che tal

               cosa faceva, disotterrò de' morti nel vescovado ove stava, e fece una
               bellissima notomia. E nel vero era il Rosso studiosissimo delle cose
               dell'arte, e pochi giorni passavano che non disegnasse qualche nudo

               di naturale.
               Ora, avendo egli sempre avuto capriccio di finire la sua vita in Francia

               e torsi, come diceva egli, a una certa miseria e povertà nella quale si
               stanno gli uomini che lavorano in Toscana e ne' paesi dove sono nati,
               deliberò di partirsi. Et avendo a punto, per comparire più pratico in
               tutte le cose et essere universale, apparata la lingua latina, gli venne

               occasione  d'affrettare  maggiormente  la  sua  partita,  perciò  che,
               essendo  un  giovedì  santo,  quando  si  dice  matutino  la  sera,  un
               giovinetto  aretino  suo  creato  in  chiesa,  e  facendo  con  un  moccolo
               acceso e con pece greca alcune vampe e fiamme di fuoco, mentre si

               facevano, come si dice, le tenebre, fu il putto da alcuni preti sgridato
               et  alquanto  percosso.  Di  che  avedutosi  il  Rosso,  al  quale  sedeva  il
               fanciullo a canto, si rizzò con mal animo alla volta del prete. Perché
               levatosi  il  rumore,  né  sapendo  alcuno  onde  la  cosa  venisse,  fu

               cacciato  mano  alle  spade  contra  il  povero  Rosso,  il  quale  era  alle
               mani con i preti. Onde egli datosi a fuggire, con destrezza si ricoverò
               nelle stanze sue, senza essere stato offeso o raggiunto da nessuno.
               Ma  tenendosi  per  ciò  vituperato,  finita  la  tavola  di  Castello,  senza

               curarsi del lavoro d'Arezzo, o del danno che faceva a Gioan Antonio
               suo mallevadore, avendo avuto più di centocinquanta scudi, si partì di
               notte, e facendo la via di Pesaro, se n'andò a Vinezia. Dove essendo
               da Messer Pietro Aretino trattenuto, gli disegnò in una carta, che poi

               fu stampata, un Marte che dorme con Venere e gl'Amori, e le Grazie
               che  lo  spogliano  e  gli  traggono  la  corazza.  Da  Vinezia  partito,  se
               n'andò in Francia, dove fu con molte carezze dalla nazione fiorentina
               ricevuto. Quivi fatti alcuni quadri, che poi furono posti in Fontanableò

               nella  galleria,  gli  donò  al  re  Francesco,  al  quale  piacquero
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