Page 2131 - Shakespeare - Vol. 4
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Giammai viandante nell’arsura estiva
               acqua agognò più ch’ella il suo bel dono;
               vede il conforto, e non lo può ottenere,
               nuota nell’acqua, eppure il fuoco brucia:             16

               «Pietà, fanciullo», grida, «cuor di selce!
               chiedo soltanto un bacio, perché fuggi?



               «M’ha corteggiato, come or io ti prego,
               anche il gran dio tremendo della guerra,

               che il forte collo mai piegò in battaglia,
               che vince qualsivoglia ingaggi pugna;
               mio prigioniero e schiavo egli ha implorato
               ciò che tu senza chiedere otterrai.



               «Appesa ai miei altari la sua lancia,

               lo scudo pesto ed il cimiero invitto,
               per amor mio ha imparato gioco e danza,
               e a ridere, e a scherzare, e a folleggiare;
               sdegnò tamburo rozzo e rosse insegne,
               campo gli fu il mio abbraccio, tenda il letto.




               «Così il sopraffattore sottomisi,
               incatenandolo di rosse rose;
               cedeva il forte acciaio a lui, più forte,
               ma la mia ritrosia lo fece servo;

               superbo, non vantar la tua potenza,
               che vince chi sconfisse il dio di guerra!



               «Tocca col tuo bel labbro il labbro mio −
               se non è bello tanto, almeno è rosso −
               il bacio sarà tuo quant’esso è mio:

               cos’è che vedi in terra, alza la testa,
               guarda negli occhi miei la tua bellezza,
               l’occhio è nell’occhio, il labbro sia sul labbro!



               «Ti fa vergogna? E allora chiudi gli occhi,
               lo farò anch’io, e il giorno sarà notte;
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