Page 2129 - Shakespeare - Vol. 4
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e, tremebonda, balsamo lo dice,
               sovrano unguento atto a sanare dee:
               di tanta brama è accesa che ha la forza
               di trarlo, ardita, giù dal suo cavallo.



               Le redini su un braccio, sotto l’altro

               ha il tenero fanciullo che arrossisce
               e mette un broncio di disdegno inetto,
               senza appetito, impreparato al gioco;

               lei rossa come braci d’alto fuoco,
               lui rosso di vergogna, e dentro un ghiaccio.



               La briglia adorna ad un nodoso ramo
               ratta assicura − tanto è svelto amore! −
               Legato ormai il cavallo, adesso cerca

               di stringere altresì il suo cavaliere:
               lo spinge giù (oh, la spingesse lui!)
               domandolo, se non con brama, a forza.                12



               Steso lui, pronta si distende lei,
               poggiati entrambi sulle braccia e i fianchi:

               la gota gli accarezza, lui si acciglia,
               protesta, ma già lei gli serra i labbri,
               e di tra i baci accesa dice ansando:            13
               «Protesta e non ti lascio più aprir bocca».



               Lui brucia di vergogna, lei piangendo

               gli spegne il fuoco casto delle gote;
               e poi con crini d’oro e gran sospiri
               s’ingegna d’asciugarle di bel nuovo.
               La biasima, lui, dice che è immodesta,

               ma ciò che segue ella lo uccide a baci.



               Come aquila      14  famelica a digiuno
               strazia col becco piume, carne ed ossa,
               scotendo l’ali e divorando in fretta,
               finché gozzo sia pieno o preda estinta:
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