Page 3048 - Shakespeare - Vol. 3
P. 3048
Quest’umore in te è solo il frutto d’un’infezione,
una povera infantile malinconia nata
dal mutare della sorte. Perché questa vanga?
Questo posto? Quest’abito da schiavo? Quest’aria
disperata? I tuoi adulatori vestono
ancora di seta, bevono vino,
hanno letti soffici, abbracciano le loro
profumate infezioni e hanno dimenticato
che Timone è esistito. Non offendere questa selva
recitando la parte del cinico. Sii tu
un adulatore, ora, e cerca di guadagnare
con quello che ti ha rovinato. Ungi
il ginocchio e fa’ che basti il fiato
del signore che ossequi a farti volar via
il berretto; loda la sua vena più viziosa
e chiamala eccellente. A te dicevano così.
E tu prestavi l’orecchio, come gli osti
che danno il benvenuto alle canaglie e a chiunque
si avvicini. È solo giusto che tu
ti faccia manigoldo; se avessi di nuovo
la ricchezza, se la prenderebbero loro.
Non assumere il mio aspetto.
TIMONE
Se fossi come te mi getterei via.
APEMANTO
Ti sei gettato via, essendo come te stesso,
per tanto tempo un pazzo, ora un buffone.
Come? Credi che quest’aria fredda,
come un vigoroso maggiordomo, metterà
la tua camicia al caldo? Questi alberi
umidi, che sono sopravvissuti all’aquila,
ti staranno come paggi alle calcagna scattando
al tuo minimo cenno? E il freddo ruscello,
incrostato di ghiaccio, ti darà la mattina
un sorso caldo contro la sbornia della sera?
Chiama le creature che subiscono nude