Page 3038 - Shakespeare - Vol. 3
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Scena III EN
Entra Timone nella foresta.
TIMONE
O sole benedetto che nutri, estrai
marcia umidità dalla terra. Sotto
l’orbita di tua sorella infetta
l’aria! I fratelli gemelli di un solo
ventre, la cui procreazione, gestazione
e nascita è arduo separare − toccali
con fortune diverse, e il maggiore
disprezzerà il minore. Non con la natura,
assediata da tutti i mali, si può avere
una grande fortuna, ma contro la natura.
Eleva questo straccione, precipita in basso
quel signore, ai senatori toccherà
un disprezzo ereditario e lo straccione riceverà
un onore innato. È il pascolo a ingrossare
i fianchi di un fratello, ed è il bisogno
a renderne uno magro. Chi osa,
chi osa alzarsi in umana purezza
e dire che quest’uomo è un adulatore?
Se lo è uno, lo sono tutti
perché ogni gradino della fortuna
è lisciato da quello che sta sotto:
la zucca del dotto si piega davanti
al cretino d’oro; tutto è obliquità;
non c’è nulla di retto nelle nostre nature
maledette ma solo una diretta malvagità.
Siano odiate, perciò, tutte le feste,
le compagnie e le folle di uomini! Timone
disprezza il suo simile: se stesso.
La distruzione abbranchi l’umanità. Terra, dammi radici.
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