Page 2944 - Shakespeare - Vol. 3
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notare il Bradley, è l’unico esempio nell’opera della partecipazione della Natura a uno stato d’animo
                 umano.
              41 IV,  vi  La  scena  è  una  vivace  e  tumultuosa  rappresentazione  del  rovesciamento  improvviso  della
                 calma che regna a Roma dopo l’esilio di Coriolano. Lo stesso motivo della «mutability» − e non una
                 condanna da parte dell’autore esterno − va letto nella rappresentazione realistica e creaturale del
                 voltafaccia della plebe terrorizzata.
              42 IV, vi, 2 «His remedies are tame −». Il senso è assai controverso e certamente ambiguo. Secondo
                 il senso che si dà a «His» si può leggere: «I rimedi contro di lui sono nelle nostre mani», oppure «I
                 rimedi che lui proponeva hanno perduto la loro forza». Ho preferito il primo senso.

              43 IV, vii Altra scena di «mutability», sul rapido voltafaccia di Aufidio. Alcuni critici prendono Aufidio in
                 parola  e  considerano  la  sua  battuta  finale  (vv.  28-57)  come  un  espediente  usato  dall’autore  per
                 «spiegare la natura di Coriolano». Ma un grande autore tragico non si illude certo di poter spiegare
                 la natura d’un uomo, né adopera questi mezzucci per veicolare una sua tesi. Aufidio, come ogni
                 personaggio  in  una  tragedia,  non  capisce  se  stesso  né  tanto  meno  il  proprio  rivale.  Parlando  di
                 Coriolano egli dice cose ben note ai romani stessi, fa alcune ovvie riflessioni tipiche del relativismo
                 machiavellico, e conclude con un giudizio incerto e tortuoso, pieno di dubbi e di ambiguo ritegno, che
                 non  approfondisce  affatto  l’interpretazione  del  carattere  dell’eroe.  Il  vero  punto,  la  funzione
                 drammatica, del suo discorso, va cercata a mio avviso nell’inattesa ambiguità e freddezza con cui
                 parla del suo «collega» poco prima così amato e ammirato, cioè nel suo mutamento.
              44 IV,  vii,  45-55  È  il  passo  capitale  della  «spiegazione»  aufidiana  di  Coriolano,  ed  è  passo  torbido  e
                 controverso. Ogni lettura di questi versi, tortuosi e ambigui come il loro speaker, ha cercato sinora
                 inutilmente di sciogliere quella loro ambiguità. Ho seguito nel tradurre le indicazioni di Samuel Johnson
                 (1765), e per i dettagli rimando alle note nelle edizioni Penguin e New Arden.

              45 ATTO  QUINTO  Lo  stupendo  finale  della  tragedia  è  suddiviso  nei  seguenti  momenti:  1.  A  Roma
                 Menenio accetta di andare a supplicare Coriolano che s’avvicina con l’esercito volsco. 2. Al campo
                 dei Volsci, Menenio è respinto da Coriolano. 3. Campo dei Volsci: Volumnia convince il figlio a ritirare
                 l’esercito. 4. A Roma: tra i plebei in tumulto arriva la notizia. 5. Ritorno trionfale delle donne a Roma.
                 6. Ad Anzio (o Corioli?): Aufidio attua il suo complotto e Coriolano è ucciso.

              46 V, i, 64 «I tell you he does sit in gold». Coriolano siede su un seggio d’oro, ma il senso che prevale
                 nelle  parole  di  Cominio  è  l’immagine  di  Coriolano  circonfuso  d’oro  (come  Traiano  nell’immagine
                 dantesca), e il senso drammatico è questa apparizione trionfale a poca distanza dal suo crollo.
              47 V, iii Questa è la scena capitale della tragedia, ed è opera di altissima drammaturgia, di una potenza
                 degna  dei  grandi  tragici  greci.  Ogni  interpretazione,  in  realtà,  non  può  che  sminuire  la  sua
                 complessità e inesauribilità.
              48 V, iii, 20-37 Ultimo soliloquio di Coriolano, ed è una lotta contro il proprio destino da parte dell’eroe
                 segnato, che qui incarna in pieno la sua fondamentale contraddizione: sublime nel comportamento e
                 nella sua finale accettazione del fato, che egli rende sua propria scelta, e insieme debole e umano,
                 troppo umano. I riferimenti alla dimensione sovrannaturale si intensificano: gli dei sono «gelosi» (v.
                 46),  ridono  della  sua  situazione  «innaturale»  (vv.  184-186),  infine  non  risponderanno  alla  sua
                 invocazione (V,  vi,  101).  L’eco  dallo Antony  and  Cleopatra (I, i, 33-34: «Let Rome in Tiber melt,
                 and the wide arch / Of the ranged empire fall!») ai vv. 33-34 («Let the Volsces / Plough Rome and
                 harrow Italy!») associa queste tragedie che mostrano lo sfacelo di un eroe.
              49 V, iii, 94-182 Perorazione di Volumnia. La grande Volumnia appare padrona di sé e calcolata anche in
                 questo momento critico che coinvolge e oppone le sorti di Roma e del figlio. Abilissimo il suo lungo
                 discorso, che comincia con una peroratio ornata, presenta il tragico dilemma suo e del figlio − ma
                 dei rischi di quest’ultimo tace quasi ne fosse inconsapevole − mirando a suscitare sacro timore e
                 pietà,  arriva  alla  stretta  oratoria  conativa  con  la  minaccia  di  suicidio,  di  fronte  all’apparente
                 insensibilità  di  Coriolano  volge in  extremis  alla  perorazione  politica  ragionata,  suasiva  e  allettante,
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