Page 2942 - Shakespeare - Vol. 3
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restano soprattutto impliciti.

              28 ATTO TERZO Il gran movimento o conflitto corale avviato con il secondo atto si continua nelle tre
                 scene del terzo. Nella scena i, l’impolitico eroe entra in contrasto anche con gli esponenti patrizi, che
                 egli ritiene troppo cedevoli, e si scontra ai ferri corti con i tribuni, spingendo la plebe al tumulto e
                 attirandosi sul capo l’accusa di tradimento e di tirannia. Nella splendida scena ii interviene la madre a
                 convincerlo a ripresentarsi − con umiltà fittizia − al popolo. E questo è il culmine degli sforzi fatti dai
                 personaggi  non-tragici  per  sottrarre  l’eroe  al  proprio  destino  e  carattere  segnati  dal  tragico,  sforzi
                 evidentemente inutili, e anzi, ironicamente, risultanti solo come acceleratori di quel groviglio di eventi
                 di cui Coriolano sarà la vittima. Sia i patrizi che la madre sono mossi comunque dall’interesse politico
                 e dall’avidità di potere, cioè da una crudele Giustizia (Dike) alla quale sono in fondo anche pronti a
                 sacrificare  l’eroe.  È  fuori  luogo,  in  altre  parole,  parlare  di  positività  di  una  delle  due  parti  in  lotta,
                 quando si assiste invece allo scontro di giustizia contro giustizia, di forza contro forza. Nella scena iii
                 Coriolano è bandito. III, i. Un’altra tappa, se si vuole, del cammino fatidico di Coriolano verso la sua
                 fine segnata. Nel primo atto conquista Corioli, con una vittoria che segna l’inizio delle sue sconfitte.
                 Nel secondo si lascia coinvolgere nel conflitto coi plebei per il consolato che non avrà, nel terzo fa di
                 tutto per rovinare la sua chance e infine perde tutto per la condanna all’esilio che segna la peripezia
                 o turning point della tragedia. Si noti, ai vv. 19-20, l’ironia tragica dell’affermazione relativa al ritiro di
                 Aufidio ad Anzio: «I wish I had a cause to seek him there...». È un’occasione che ben presto gli
                 sarà offerta, ma non per il motivo che egli crede.
              29 III,  ii  Qui  la  tragedia  raggiunge  la  sua  massima  intensità,  ogni  parola  è  essenziale  nello  scontro
                 verbale tra l’eroe «troppo assoluto» e la madre machiavellica. È lei che lo spinge infine a porsi la
                 domanda tragica («What must I do?», v. 35) quella che appare così spesso nelle tragedie quando
                 si è raggiunta la situazione-limite, e per l’eroe i due corni del dilemma sono entrambi negativi. Qui
                 Coriolano può o disubbidire alla madre − il che è impensabile − o rinnegare se stesso fingendo e
                 piegandosi alla plebe − il che è impensabile.

              30 III, ii, 39-45 Nelle grandi battute di Volumnia sentiamo l’eco delle parole di Machiavelli: chi diventa
                 principe  col  favore  dei  grandi  deve  innanzitutto  cercare  di  guadagnarsi  il  popolo  (Principe,  IX);  il
                 principe dev’essere «gran simulatore e dissimulatore» (Principe, XVIII). L’arte politica richiede a chi
                 la esercita di essere leone e volpe, colomba e serpe. Della propria incapacità di piegarsi a questa
                 esigenza  Coriolano  è  cosciente  nel  momento  stesso  che  accetta  il  consiglio  politico  della  madre:
                 «Away, my disposition, and possess me/ Some harlot’s spirit!» (III, ii, 111-112) dove occorre dare
                 a «disposition» tutta la sua pregnanza semantica, insieme di destino e di carattere.
              31 III, ii, 131 «Mother, I am going...». Coriolano si arrende per la prima volta, e anticipando la fatidica
                 seconda  volta,  alla  forza  della philia,  vincolo  con  la  madre  e  con  la  grande  Madre  di  cui  ella  è  il
                 simbolo vivente. Ma si arrende non senza scetticismo e ironia, per questa volta, anticipando nelle
                 sue ultime e amare battute l’esplosione di rabbia e di sdegno che nella scena seguente gli procurerà
                 l’esilio.
              32 III, iii, 133-135 «Despising / For you the city... There is a world elsewhere». Il suo rigetto di Roma
                 esimerà Coriolano, ma illusoriamente, dal sentirsi un traditore.
              33 ATTO  QUARTO  È  il  più  insoddisfacente  come  suddivisione  dei  contenuti.  Le  prime  due  scene
                 appartengono infatti al movimento corale iniziato nel II atto. La scena iii è tra le più «entropiche»
                 dell’opera,  e  la  iv  avvia  in  ogni  senso  l’ultimo  gran  movimento,  che  vede  un  Coriolano
                 inconsapevolmente diverso agire nel contesto volsco, mentre le scene romane slittano, con la loro
                 funzione di contrasto, in secondo piano. La scena IV, i è pervasa dalla crudele ironia tragica: ora è
                 un  Coriolano  momentaneamente  controllato  e  moderato  che  sorregge  e  conforta  la  sua  terribile
                 madre  battuta.  Suona  nel  sottofondo  il  motivo  della  «mutability»  che  emergerà  fortissimo  nella
                 scena iv insieme all’epifania della seconda persona dell’eroe.
              34 IV, i, 51-53 Si confronti questa sicurezza dell’eroe di rimanere costante, di esser sempre se stesso,
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