Page 2940 - Shakespeare - Vol. 3
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7 I, i, 161 Nel trionfale «Hail, noble Martius!» di Menenio qualche regista ha sentito l’eco sinistra del
«Sieg Heil!» di infausta memoria. Ma Marzio non ha la natura del dittatore, è uomo eminentemente
impolitico, possiede solo a metà i requisiti della virtù machiavellica. E c’è ironia drammatica nella sua
accusa di incostanza alla folla plebea, visto il suo futuro destino di eroe oggettivamente incostante.
8 I, i, 222 sgg. L’imminente guerra coi Volsci è per la classe guerriera una notizia gioiosa, l’annuncio di
un sicuro rimedio per le lotte interne. Marzio (vv. 223-4) è il primo ad esserne consapevole.
9 I, i, 227 Shakespeare ha anticipato fortemente, rispetto alla fonte, il tema di Aufidio come oggetto
di odio-amore per Coriolano. V. sotto le scene I, ii e I, x.
10 I, i, 250-277 Solo un pregiudizio critico può far considerare i due tribuni come una coppia di villains o
di clowns. Sicinio e Bruto sono d’un solo animo, considerano Marzio un nemico del popolo, diffidano
di ogni sua dichiarazione e sospettano di ogni sua mossa, e sono pronti ad approfittare di ogni
occasione, e di ogni suo sbaglio, per il vantaggio della propria parte, senza porsi alcun problema
morale. In ciò non sono affatto diversi dalla controparte nobiliare, altrettanto machiavellica, sia a
Roma che ad Anzio.
11 I, ii È una rapida scena che anticipa o introduce motivi dominanti nel destino di Coriolano (Aufidio,
Corioli, la condizione malata di organismi statali infestati da spie).
12 I, iii, 1-17 Un ampio cursus manieristico regge la prima battuta di Volumnia, soprattutto nel solenne
periodo centrale, imperniato sullo «I» della riga 9.
13 I, iii, 31 e 47-48 Una terribile anticipazione ironica è nelle parole inconsapevoli della madre: il destino
che ella indica per Aufidio sarà invece quello di suo figlio. Su un piano più superficiale è evidente in
tutta la scena la presentazione ironica delle due grandi matrone patriottiche, Volumnia e Valeria,
opposte alla dolce e umana Virgilia.
14 I, iv-x Nelle sette scene che formano il secondo movimento dell’opera la guerra è rappresentata
con una accumulazione di episodi analitici e concreti. Il centro è l’impresa di Corioli che darà a Marzio
il suo soprannome trionfale e fatale. Si notino nella scena iv le battute allegre, eccitate ed esilarate
degli scatenati aristocratici romani e volsci, giovani e vecchi, che sono veri e propri animali da
guerra. E in opposizione quasi brechtiana il comportamento ben poco bellicoso dei poveracci, delle
truppe plebee propense più a far bottino che a combattere, carne da cannone che Marzio disprezza
e insulta.
15 I, vi L’opposizione tra il modo di comandare di Cominio, amichevole e umano verso i subalterni, e
quello superbo e sprezzante di Marzio, ha una funzione importante nell’economia della tragedia. V.
la scena I, ix.
16 I, viii, 12-13 «Wert thou the Hector / That was the whip of your bragged progeny». L’immagine è
poco chiara: Ettore può dirsi la sferza con cui i Troiani frustarono tante volte i Greci, o l’esempio
stimolante dei Troiani stessi, che i Romani vantano come propri antenati.
17 I, ix Nel gioco delle opposizioni che struttura la tragedia Cominio sta a Marzio come il «romano
perfetto» al «romano imperfetto», o come l’ideale positivo e non-tragico della Romanità sta
all’eccesso che scatena le tragedie romane. Persona non-tragica opposta alla persona tragica,
Cominio porta in sé il principio della moderazione, del «non plus ultra», del greco «meden agan» e
della «aurea mediocritas», di contro al «plus ultra» e all’eccesso del tragico. Se i valori di Coriolano
sono insieme astrattamente «puri» e terribilmente egocentrici, quelli di Cominio sono sempre
sovraindividuali e comunitari, com’è nell’ideale «romanità» vagheggiata in Europa da Dante a
Machiavelli e a Montaigne.
18 I, ix, 13-19 La modestia di Coriolano, annota P. Brockbank per questa e per le successive battute
dell’eroe in questa scena, tradisce sottilmente la sua orgogliosa fiducia nel proprio potenziale
sovrumano che ancora è imperfettamente attuato. Il suo atteggiamento di riserbo e di rinuncia
diventa un’esasperazione etica, che distorce la realtà e si fa inconsapevolmente superbia offensiva