Page 2736 - Shakespeare - Vol. 3
P. 2736
quando faremo i conti.
AIUTANTE
Ma dimmi, Aufidio,
credi che prenderà Roma?
AUFIDIO
Tutte le città
gli si arrendono prima che le assedi,
e la nobiltà di Roma è con lui.
Anche i senatori e i patrizi lo amano.
I tribuni non sono soldati, e il popolo
farebbe presto a richiamarlo come fece
a cacciarlo. Credo che sarà per Roma
come la procellaria per il pesce, che lo mangia
per sovranità di natura. Dapprima
li servì nobilmente, ma non seppe
portare i suoi onori con misura.
Forse fu per l’orgoglio che nasce
da un successo continuo, e macchia
sempre l’uomo fortunato. O forse per
un difetto d’acume, un’incapacità
di sfruttare quelle occasioni
che aveva in pugno. O forse
la colpa fu della sua natura,
non essere mai altro da sé, non cambiare
mai, sotto l’elmo o sul cuscino,
ma dominare la pace con la stessa durezza
e lo stesso rigore con cui controllava
la guerra. Una sola di queste macchie 44
− perché ne ha un po’ di tutte, ma non
tutte assieme, e per questo
mi sento di scagionarlo − una sola
lo ha reso tanto temuto, odiato, e bandito.
Ma egli ha un merito che, a dirlo, è strozzato.
Perché le nostre virtù stanno in ciò
che ne dice il tempo; e il potere,
che in sé è molto apprezzabile,