Page 2635 - Shakespeare - Vol. 3
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MENENIO
Voi non conoscete né me, né voi stessi né niente. Andate solo cercando le
scappellate e gli inchini di morti di fame e imbroglioni. Buttate via una bella
mattina a trattare una causa tra una fruttivendola e un tappaiolo, e poi
rinviate quella lite da tre soldi a una seconda giornata d’udienza. Se mentre
arbitrate fra due litiganti vi scappa la cacarella fate smorfie da pagliacci,
alzate bandiera rossa contro la pazienza, e sbraitando per un pitale lasciate lì
la disputa a dissanguarsi, più ingroppata che mai dalla vostra udienza. Tutta
la pace che sapete fare nella causa consiste nel chiamare farabutti l’una parte
e l’altra. Siete una gran bella coppia.
BRUTO
Via, via, si sa benissimo che sai fare meglio il burlone a tavola che il
magistrato in Campidoglio.
MENENIO
Persino i preti diventano burloni a incontrare soggetti ridicoli come voi due.
Ciò che dite di meno spropositato non vale lo sbattere delle vostre barbe. E
queste barbe non meritano altra tomba onorata che un cuscino rattoppato, o
il basto d’un somaro. Eppure andate blaterando che Marzio è superbo! Lui che
a dir poco vale tutti i vostri antenati a partire da Deucalione − epperò
sospetto che i più decenti facessero i boia di padre in figlio. Buonasera alle
vostre reverenze. Continuare la conversazione m’infetterebbe il cervello,
perché siete i mandriani del bestiame plebeo. Avrò dunque l’ardire di
congedarmi da voi.
Bruto e Sicinio restano in disparte.
Entrano Volumnia, Virgilia e Valeria.
Allora, mie belle e nobili signore − e la luna se fosse di questa terra non
sarebbe più nobile − dov’è che correte dietro ai vostri occhi?
VOLUMNIA
Onorabile Menenio, arriva mio figlio Marzio. Andiamo, per amor di Giunone.
MENENIO
Come? Marzio ritorna a casa?