Page 2634 - Shakespeare - Vol. 3
P. 2634
Non siamo i soli, Menenio.
MENENIO
Ah lo so che da soli sapete far ben poco, avete molti aiutanti o sennò ciò che
fate sarebbe pochino, pochino assai. Le vostre forze son troppo del tipo bebè
per fare da sole. Mi parlate di superbia. Ah se poteste torcere gli occhi verso
le vostre collottole, e fare un piccolo esame delle vostre bisacce interiori! Ah
se lo poteste!
I DUE
Che succederebbe?
MENENIO
Be’ scoprireste un paio di magistrati − di minorati vorrei dire − demeritevoli,
boriosi, maneschi e bizzosi come pochi a Roma.
SICINIO
Menenio, anche tu sei arcinoto, va’!
MENENIO
Certo, sono arcinoto: un patrizio bizzarro, uno che ama una coppa di vino
caldo che neanche una goccia teverina annacqui; uno che ha un po’ il difetto
di non dar ragione al primo che si lagni, e che piglia fuoco di fretta alla
provocazione più banale; uno che ha più confidenza con le natiche della notte
che con la mutria del mattino. Ciò che penso lo dico, e sfogo in fiato il
malanimo. Se incontro due uomini pubblici come voi − Licurghi non vi posso
chiamare − e mi date a bere qualcosa che mi contraria il palato, faccio le
boccacce. Non posso dir che le vostre dignità han ben esposto la faccenda,
quando a ogni sillaba, quasi, vi casca l’asino. E sebben debba fare buon viso a
chi vi reputa persone serie e di rispetto, mente però per la gola chiunque vi
trova una facciata decente. E se tutto ciò lo leggete qui, sulla mappa del mio
piccolo mondo, ne consegue forse che anch’io sarei arcinoto? Che misfatto
può spigolare la vostra cisposa sagacia da questo mio ritratto, anche se fosse
arcinoto?
BRUTO
Andiamo, andiamo, ti conosciamo abbastanza.