Page 2582 - Shakespeare - Vol. 3
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ciò che deve eseguire per un incomprensibile destino a cui è soggetto. Questo
pensiero però non esprime che la metà della «verità» tragica, la sola intuita
dai romantici. In una tragedia come il Coriolano, se l’uomo e i suoi propositi
sono sbattuti come foglie al vento della Moira e della Tyche, del destino e del
caso, pure nello stesso tempo è l’uomo che vuole e sceglie in piena libertà il
suo destino, dacché esso è inscritto nel suo carattere: egli può e vuole
diventare soltanto ciò che è.
Il Coriolano di Shakespeare non è, io credo, l’eroe puro dei romantici e
neanche l’eroe negativo o grottesco di una critica che è romantica a rovescio.
Nella fonte plutarchea Coriolano era presentato come un exemplum morale
delle conseguenze di un’educazione esclusivamente materna, e
dell’incapacità di correggere in una vita comunitaria e politica la
«solitariness» (come traduce il North) di un carattere orgoglioso e scorbutico.
Ma in Shakespeare egli è anzitutto un eroe tragico, scelto dal destino al suo
ruolo a prescindere dalle sue qualità positive o negative, e che nello stesso
tempo vuole e si sceglie il proprio ruolo tragico e in esso s’immedesima al
punto che ogni sua azione è un passo verso la rovina finale. Egli è tanto
identificato col suo destino da rifiutare i consigli alla tragedia, e accettarli
quando lo spingono verso di essa. La sua volontà coincide a tal punto col suo
carattere-destino che non è più possibile dire se egli scelga una data azione o
venga scelto da essa, se il suo arbitrio è libero o servo, se egli crea il proprio
destino o se è il destino a trascinarlo, e nulla potrebbe questo destino
cambiare.
Preannunciato dal «coro», all’inizio dell’opera, come eroe carismatico (nel
bene e nel male) Coriolano fa la sua prima apparizione come «maestro
dell’insulto» (Burke), come uomo d’azione irascibile e aggressivo, dominato
dall’arroganza e dallo spirito di sopraffazione. Un eccesso d’orgoglio e di
sicumera è certo la sua hybris, e glielo dice la madre a III, ii, 39: «Sei troppo
assoluto». Troppo assoluto come lo erano stati, nel loro scontro perdente con
i grandi «politici» loro avversari, Bruto nel Giulio Cesare e Antonio in Antonio
e Cleopatra. Allo stesso modo Coriolano è contrapposto, come uomo «non
politico», a quei suoi nemici o amici e anche alla stessa madre, che sono
accomunati dal possesso della competenza politica (machiavellica), che è
anzitutto controllo delle passioni e delle parole, e che li tiene a riparo dalla
tragicità: la virtù aristotelica dell’uomo come animale politico, e la virtù
machiavellica che come policy assume una connotazione ironica e sinistra nel
mondo di Shakespeare, dove tanti re e principi muoiono perché ne sono privi.
Di fatto l’intenzione degli amici di Coriolano è di raggiungere il proprio scopo