Page 2585 - Shakespeare - Vol. 3
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l’errore. La Giustizia (Dike) della madre è in lotta con la sua Giustizia. La
madre lo esige diverso e non tragico nel momento stesso in cui ribadisce il
suo destino. Coriolano capisce che ciò che è tragico a livello umano è assurdo
al livello degli dei.
La spietata «madre romana» è del resto, fin dall’inizio, veicolo incosciente di
quel tessuto ironico che segnala nell’opera la presenza e l’azione del livello
soprannaturale, trascurato dal fruitore il cui occhio si blocchi sul livello
umano. Ma il soprannaturale è uno dei referenti del linguaggio dell’opera,
evidente anzitutto lungo il paradigma delle invocazioni agli dei (da I, i, 22 a V,
vi, 101) che non sono certamente mero ornato retorico né colore locale. Il
livello divino è il referente di quel sistema di rimandi ironici che lega la
rappresentazione in un tutto, ed è presente e attivo nell’opera come una
componente della realtà, della coscienza e dell’agire umani. Esso è ad
esempio la funzione che giustifica le apparizioni di Aufidio e della madre tanto
in anticipo rispetto alla fonte, o delle parole di Volumnia a I, iii, 47-48: che
sono tutte chiare prolessi ironiche del destino dell’eroe. C’è nella tragedia,
oltre alla dimensione umana, un livello superiore sul quale tutto appare
prestabilito: un orizzonte carico di oscure potenze su un mondo umano che
non è autosufficiente.
Alla fine, destino e carattere, eventi e scelte portano l’eroe nella trappola in
cui sarà ucciso come un cane. Questa «cessazione fulminea di un’enorme
energia» (Bradley) − che ricorda la morte del Reso euripideo − nessun critico
oggi, mi pare, riesce a sentirla come un’asserzione idealistica di libertà sulla
necessità che la distrugge. In una finale aporia, libertà e necessità si
identificano in un senso non idealistico ma, direi, genuinamente greco. Nulla,
dice il Rossiter, appare mutato alla fine della tragedia, non c’è catarsi, non c’è
superamento, non c’è quella compensazione che faceva scrivere al Granville-
Barker, e oggi la sua affermazione sbalordisce, «Something like justice is
done». L’assassinio dell’eroe carismatico detestabile e commovente, vittima
degli altri e di se stesso, resta un evento ingiusto e assurdo. Ciò che vediamo
è «un grand’uomo atterrato dalla hybris» (Draper) sul quale si tesse il solito
ambiguo elogio di chi resta.
Testo e struttura
I rimandi delle note sono alla numerazione del testo nel Coriolanus curato da
G.R. Hibbard (1967) per il New Penguin Shakespeare, che è l’edizione seguita
nella traduzione. Ma si è anche tenuto presente, e talvolta privilegiato, il