Page 2586 - Shakespeare - Vol. 3
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testo  stabilito  da  P.  Brockbank  (1976)  per  il   New  Arden  Shakespeare.
          Sebbene appaia in un unico testimone, l’In-Folio del 1623, il Coriolanus è tra i
          testi  che  hanno  subito  i  più  vigorosi  interventi  dei  curatori.  Il  testo  dell’In-
          Folio è regolarizzato con la divisione in atti, mentre quella in scene fu stabilita

          in  seguito  da  Rowe,  Pope,  Capell  e  Dyce.  La  ricchezza  delle  didascalie  è
          insolita per Shakespeare, ma in genere, e secondo la prassi elisabettiana, la
          localizzazione delle scene non è indicata ma implicita nel testo.
          Tranne che per due scene ( I, iii e IV, v) l’azione si svolge tutta all’aperto, in

          pubblico, tra gli urli e gli insulti di scontri politici, di sommosse e di battaglie.
          Essa si sviluppa per grandi blocchi consecutivi nel tempo − ma qualche volta,
          pare,  anche  simultanei  o  in flashback −  dal  primo  movimento  corale  e
          tumultuoso (la rivolta della plebe domata da Menenio e da Marzio) al flash

          nel campo avverso (Aufidio a Corioli), e dopo la parentesi «familiare» delle
          donne in casa di Marzio, al rapido susseguirsi di scene di guerra (I, iv-x) che
          danno all’opera il suo carattere di «tragedia piena di Ares». Un nuovo e vasto
          movimento corale si sviluppa ininterrottamente attraverso le scene romane

          (al  Foro,  al  Campidoglio,  alle  porte)  da II,  i  a IV,  ii,  dal  ritorno  trionfale  di
          Coriolano agli scontri politici fra patrizi e plebei, alla cacciata dell’eroe: come
          nelle altre due maggiori tragedie romane, l’organismo dello Stato è colpito e
          lacerato dai dissidi interni; e l’eroe, uomo di hybris e di passione dominato da

          un sogno, sconta la sua carenza di «policy», di fredda razionalità e capacità di
          calcolo, di dominio dei propri impulsi. Come machiavellico imperfetto (tutto
          leone e niente volpe) Coriolano è contrapposto non solo agli avversari interni
          ed esterni ma ai suoi stessi amici, a quei nobili romani e perfetti uomini di

          Stato che invano cercano di salvarlo da quel destino che è già segnato nel
          suo carattere violento e debole. La sua cacciata segna il «turning point», la
          peripezia  della  tragedia.  Dopo  di  che,  nel  gran  blocco  di  scene  in  terreno
          volsco  che  prevale  nella  seconda  parte  e  porta  a  maturazione  la  squallida

          catastrofe,  Coriolano  appare  uomo  profondamente  mutato,  tale  da  destare
          più  pena  che  ammirazione  o  paura,  tanto  è  il  suo  smarrimento,  la  sua
          incapacità  di  capire  se  stesso  e  le  proprie  azioni,  tanto  tragico  e  privo  di
          soluzioni il dilemma in cui l’hanno spinto la necessità e il caso, il suo destino e

          il suo carattere.
          Giuste e acute le osservazioni sullo stile di Maurice Charney (1961, in B.A.
          Brockman,  ed., A  Casebook):  in  contrasto  con  quello  delle  altre  tragedie
          romane,  e  soprattutto  di Antony  and  Cleopatra,  qui  il  linguaggio  è  quasi

          sempre  accumulativo,  monovalente,  «illustrativo»,  oratoria  politica
          argomentatoria e suadente, spesso aspra e vituperativa: linguaggio di rissa,
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