Page 2188 - Shakespeare - Vol. 3
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strappato al grembo materno, nella terza Malcolm. Nella sfilata dei re, i doppi globi o sfere, e i triplici
                 scettri alludono all’unione delle corone di Inghilterra e di Scozia operata dagli Stuart, e al regno triplo
                 di Inghilterra, Scozia e Irlanda.
              35 iv,  iii.  È  la  scena  più  lunga  della  tragedia,  239  versi,  e  per  Chambers  e  altri  critici  è  decisamente
                 troppo lunga, statica, convenzionale e poco funzionale. La si può dividere in una serie di movimenti:
                 vv. 1-44. Sospetti di Malcolm nei riguardi di Macduff che viene e incitarlo all’invasione della Scozia.
                 Vv. 44-102. Malcolm mette alla prova la fedeltà di Macduff presentandosi come un uomo pieno di
                 vizi.  Vv.  102-139.  Macduff  reagisce  con  nobile  sdegno  e  Malcolm  getta  la  maschera  e  accoglie
                 Macduff  nel  comando  del  suo  esercito.  Vv.  139-159.  Un  medico  viene  a  parlare  della  cura
                 miracolosa di cui è capace il santo re «inglese». Vv. 159-239. Ross porta la notizia della strage dei
                 familiari  di  Macduff,  che  è  sottoposto  a  un’altra  durissima  prova.  Si  tratta  in  effetti  di  una  scena
                 assai abile di schermaglia politica e di pathos, a un livello certo meno intenso del resto dell’opera.
                 Essa ha anche funzione corale-informativa, tocca motivi diffusi nel dramma come il sospetto che
                 domina  i  rapporti  umani  e  la  cautela  politica  dei  veri  grandi  machiavellici  che  sanno  ben  conciliare
                 morale  e policy, fede e spietatezza, ideale e prassi (mentre Macbeth è in fondo come Antonio e
                 Coriolano, un machiavellico imperfetto e impolitico), e infine caratterizza i due personaggi di Malcolm
                 e Macduff che erano sinora appena sbozzati. Nell’episodio del dottore, fondato su Holinshed, il re
                 anglosassone, e il sovrannaturale positivo, sono contrapposti vistosamente al tiranno efferato e al
                 suo diabolico sovrannaturale. Ma sono contrapposizioni esterne e superficiali, e del resto sempre, a
                 rigore, punti di vista dei vari personaggi.

              36 iv, iii, 146. Il cosiddetto «Male», o più chiaramente il Male del Re, è la scrofula, la cui miracolosa
                 guarigione fu creduta per secoli sacra prerogativa dei re di Francia e d’Inghilterra. La tradizione iniziò
                 in Francia con il Capetingio Roberto ii il Pio (re dal 987 al 1031) e in Inghilterra con il regno (1042-
                 1066) di Edoardo il Confessore, che fu uno degli ultimi re anglosassoni.
              37 iv,  iii,  209-210:  «...the  grief  that  does  not  speak»  ecc.  Una  massima  fondata  probabilmente  su
                 Seneca, Hippolytus,  607  e  da  lì  tradotta  da  John  Florio, Essays i,  ii.  Può  sembrare  pedantesca  in
                 bocca a Malcolm in un simile momento, ma forse ne puntualizza il carattere freddo e pedante.

              38 v, i. Tutto l’ultimo atto o movimento è un precipitare del tempo scenico verso il destino di morte
                 dell’eroe. Le scene al castello di Dunsinane (v,  i,  iii,  v)  certo  tra  le  più  potenti  del  teatro  di  tutti  i
                 tempi, sono intercalate dalle scene corali (ii, iv) che seguono l’avvicinarsi dell’esercito di Malcolm, e
                 seguite dal lungo e violento «esodo» delle scene di battaglia. La prima scena è quella del delirio di
                 Lady Macbeth, che Shakespeare stende, è stato detto, in una prosa essenziale e spezzata, forma
                 qui  necessaria,  mirabile,  di  un  episodio  che  non  è  di  condanna  ma  di  pietà  e  di  dolore.  Qui  Lady
                 Macbeth non è il demone infernale di cui parlerà Malcolm alla fine della tragedia; piuttosto un povero
                 essere  umano  spezzato  dalla  propria  coscienza,  che  il  destino  ha  buttato  via  dopo  avergli  fatto
                 svolgere la propria funzione nella macchina infernale della trama.
              39 v, iii. Macbeth, abbandonato dai suoi vassalli, si aggrappa alla fiducia nell’oracolo, si fortifica nel suo
                 eroismo finale, e insieme è invaso da una malinconia che trascende la sua situazione individuale, le
                 sue  colpe,  e  fa  appello  all’eterno  e  comune  dolore  di  vivere,  a  quella  umana  condizione  dei  cui
                 grovigli egli è simbolo come Amleto, o Edipo, o Agamennone. Molti echi dall’Agamennone di Seneca
                 tradotto da Studley, e soprattutto dal primo e terzo suo coro, sono stati indicati dai commentatori.

              40 v, iii, 7-8: «Then fly, false thanes, / And mingle with the English epicures». Bellissimo emergere, in
                 Macbeth,  dell’orgoglio  scozzese  per  la  propria  vita  sobria  di  contro  al  lusso  introdotto,  come  dice
                 Holinshed,  dagli  inglesi.  Il  verso  non  dice  «epicurei»  ma  «epicuri»,  forma  aggettivata  in  uso  nel
                 medioevo.
              41 v,  iii,  22:  «my  way  of  life».  Cfr.  Orazio,  Epistulae,  i,  xvii,  25:  «vitae  via»,  e Epist.  i,  xviii,  103:
                 «semita  vitae».  Perciò  traduco  «il  sentiero  della  mia  vita».  Ma  viene  anche  da  pensare  che  quel
                 «sentiero di una vita oscura» (fallentis semita vitae), che Orazio consiglia all’amico ambizioso dalla
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