Page 2185 - Shakespeare - Vol. 3
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sempre per voi (come eremiti)». Si tratta nel complesso di una scena di inganni e di mascherate.

               9 i, vii. La scena, introdotta dal soliloquio cui segue il confronto vibrante dei due Macbeth, sviluppa il
                 tema dell’istigazione di Lady Macbeth avviato alla scena v.
                 Vv. 1-28. Secondo soliloquio di Macbeth. Il quale cerca anzitutto di escludere dalla mente ciò che
                 non è il mero particulare, l’interesse terreno, e in altre parole la «coscienza». Ma il significato del suo
                 atto sul livello della colpa, e cioè sul piano sacrale, rientra nel suo pensiero sia a livello conscio (la
                 Giustizia imparziale che ritorce il crimine sul criminale) sia a livello subconscio, sul piano emotivo e
                 immaginario, con le poderose figure «bibliche» dei versi 19-25. Infine Macbeth si rende conto che la
                 sua  unica  motivazione  −  gli  altri  e  concreti  motivi  della  fonte  Shakespeare  li  ha  soppressi  −  è
                 malefica, pericolosa, facilmente rovesciabile in una sconfitta. Il procedere spezzato e a volte oscuro
                 del discorso rende l’ansia, la tortuosità, la viscosità del pensiero.
                 Al  v.  7  («We’d  jump  the  life  to  come»)  F.  Kermode  legge,  con  un  rimando  alle  Confessioni  di
                 Agostino:  «Se  il  presente  fosse  l’eternità,  non  ci  preoccuperemmo  dell’eternità.»  In  altre  parole,
                 Macbeth vorrebbe che un momento del tempo non avesse seguito, che si mutasse in un eterno
                 presente. Ma l’ambiguità è in ogni parola.
                 Al  v.  22,  «Striding  the  blast»  presenta  una  plurivalenza  intraducibile,  perché  «blast»  può  essere
                 l’uragano provocato dal rivoltarsi metafisico della natura, o la tempesta d’indignazione suscitata negli
                 uomini dal delitto, o anche il frastuono delle trombe angeliche.
              10 i, vii, 45: «il povero gatto del proverbio» è il gatto che voleva mangiarsi il pesce senza bagnarsi le
                 zampe.
              11 ii,  i.  La  notte  dell’assassinio  è  frastornata  da  turbamenti  sovrannaturali,  che  Banquo  è  il  primo  a
                 sentire in questa scena. L’azione degli uomini, in Shakespeare, è parte di un sistema metafisico, e
                 non ha certo quei limiti soggettivistici, quelle carenze di oggettività sostantiva, che vi trovava Hegel.
              12 ii,  i,  6-9.  Banquo  si  sente  oppresso  da  una  tentazione  diabolica  −  così  intende  la  previsione  delle
                 streghe − e invoca le potenze angeliche deputate alla difesa dal demonio, richiamando l’inno della
                 compieta, «Procul recedant somnia / Et noctium phantasmata» (Curry).

              13 Vv.  33-64.  Terzo  soliloquio  di  Macbeth.  Il  coltello  che  appare  a  Macbeth  sostanzia
                 drammaticamente  la  spinta  sovrannaturale  dei  suoi  atti,  la  forza  coercitiva  della  Moira,  la
                 necessarietà di ciò che deve succedere. Egli è cosciente del concorrere di una forza esterna e della
                 sua inclinazione ad agire. I vv. 42-43 («tu mi mostri la strada che io percorrevo e sei il pugnale che
                 io dovevo usare») sono espressione esemplare della doppia motivazione.

              14 Vv. 44-45. O i miei occhi, dice Macbeth, sono ingannati dagli altri sensi in stato di agitazione, oppure
                 sono assai più validi di tutti loro nel vedere la verità.

              15 Vv.  51-56.  La  forza  di  convinzione  del  monologo  s’incrina  in  queste  reminiscenze  letterarie  e
                 allegoriche. Ecate, ipostasi ctonia di Artemide e dea degli Inferi, anche qui associata alle Moire e al
                 destino,  è  divenuta  nel  Medioevo  un  demone  legato  alla  magia  nera.  Come  divinità  distruttiva  e
                 maligna è invocata da Lear nel diseredare Cordelia a i, i. Nel contesto della Scozia cristiana, che è
                 quello  del Macbeth,  è  un  demone  associato  al  delitto.  L’invocazione  torna  a iii,  ii,  41  quando  si
                 prepara l’assassinio di Banquo.

              16 ii,  ii.  La  scena  famosa  del  regicidio  ha  un  ritmo  spezzato  e  quasi  terremotato  che  infine  è
                 sottolineato  dai  colpi  al  portone  del  castello.  Il  famoso  tema  del  sonno  ai  vv.  35-43  deriva
                 probabilmente  dallo Hercules  Furens di  Seneca  tradotto  da  Jasper  Heywood  (vv.  1065-7)  o  dalle
                 Metamorfosi di Ovidio (traduzione del Golding, xi, 624-5 e 723-6). Ancora, i famosissimi versi 60-63,
                 che danno filo da torcere a ogni traduttore, vengono da molto lontano: precedenti sono stati indicati
                 nell’Apocalisse (xvi, 3), nell’Edipo Re di Sofocle (1227-28), nello Hippolytus di Seneca (715-18) e nello
                 Hercules Furens (1323-29). Queste ultime due, forse, le fonti primarie.
              17 ii,  iii.  Apre  la  scena  il  famoso  episodio  del  portiere,  violentemente  rifiutato  dai  critici  prima  e,  con
                 qualche  eccezione,  anche  dopo  la  rivolta  romantica,  appunto  perché  introduce  nella  tragedia
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