Page 1940 - Shakespeare - Vol. 3
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machiavellicamente,  di  uccidere  insieme  padre  e  figli.  Ma  ciò  avviene,  io
          credo,  perché  Macbeth  è  uomo  d’azione  ben  poco  «politico»,  machiavello
          assai  imperfetto,  e  soprattutto  perché  così  non  è  scritto  nell’oracolo.  La
          responsabilità dell’eroe si esprime in atti che coincidono perfettamente con le

          anticipazioni  profetiche,  le  quali  in  Shakespeare  innescano  l’azione  e  la
          prefigurano  e  dirigono  tutta.  Il  destino  di  Macbeth  è  prenarrato  due  volte,
          all’inizio  e  al turning-point del dramma. Non c’è volontà e forza umana che
          potrebbe cambiarlo. I personaggi non possono che attuare punto per punto

          ciò che è già scritto nella notte del senzatempo.
          «Non ho a spingermi che la mia ambizione», pensa Macbeth: come ogni eroe
          tragico, egli non capisce se stesso e gli altri e non capisce cosa gli succede.
          La carenza di motivi a discarico non fa che accentuare l’arbitrio del destino. Si

          guardi l’articolarsi dell’azione: è come se fosse guidata dall’alto e incanalata a
          ogni  bivio  in  quel  ramo  che  porta  alla  fine  annunziata.  Tutte  le  possibili
          alternative sono cassate dalla regia di quella Fortuna (l’antica Moira-Tyche,
          Necessità  e  Caso)  che  per  colmo  d’ironia  Macbeth  disprezza  (I,  ii,  17).  Se

          Macbeth  esita,  interviene  la  moglie  −  strumento  del  destino  −  e  gli  fa
          superare  la  sua amekanía. Malgrado i loro forti sospetti, Banquo e Macduff
          non  piantano  subito  l’usurpatore,  perché  è  segnato  che  il  primo  ne  venga
          ucciso (ma si salvi il figlio i cui discendenti avranno il trono), e che il secondo

          sia spinto dalla strage dei suoi a essere l’uomo che più odia il tiranno e gli
          darà la caccia mortale, perché è l’unico che possa farlo essendo «non nato da
          donna». Per attuare l’oracolo Malcolm scappa e si salva, e Macbeth resiste a
          Dunsinane, nei paraggi del bosco di Birnan. «Il cielo stesso», come dice Kott

          dell’Edipo re, «ordisce il delitto che grida vendetta al cielo».
          Mi pare che la lettura tradizionale esorcizzi questo cupo mistero, e trasferisca
          nella tragedia il messaggio della fonte, cui Shakespeare avrebbe aggiunto di
          suo soltanto lo sviluppo psicologico e le bellezze poetiche. Macbeth viene così

          «spiegato», anzi «spiegato via» come dicono gli inglesi, come una «Anatomia
          del  Male».  Per  il  Bradley,  in  effetti,  che  l’azione  fosse  predeterminata  sul
          piano  soprannaturale  voleva  dire  togliere  all’eroe  libertà  e  responsabilità,
          ridurlo a un automa, idea che giustamente egli respingeva come perversione

          deterministica.  Ma  Rudolf  Otto  ci  ha  poi  rifatto  notare  che  l’esperienza  del
          Sacro può ben scavalcare il principio di non-contraddizione: «Vuoi quel che
          vuoi e come tu puoi proponiti, scegli: deve pur tutto accadere come deve e
          come è fissato» (Il Sacro, trad. E. Buonaiuti, p. 95). Per Bradley il Macbeth

          «non  era  stato  scritto  per  gli  studiosi  di  metafisica»,  e  Shakespeare  «non
          aveva mai trattato i temi del destino, della libertà e della predestinazione»,
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