Page 2677 - Shakespeare - Vol. 2
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e mi è venuta subito in mente la figura
               dell’incosciente Aiace. Cielo, che razza d’uomo!
               Un vero cavallo che non sa cosa porta!
               O Natura! Quante cose ci sono

               abiette nell’aspetto e preziose nell’uso!
               E quante cose preziosissime nella stima
               e povere in valore! Domani noi vedremo
               − è un regalo che il puro caso gli detta addosso −

               Aiace che diventa famoso. O cielo,
               che cosa non fanno certuni, mentre altri
               non si curano di fare!
               Certa gente si insinua nella camera

               della Fortuna bizzosa; e certi altri
               le fanno gli imbecilli proprio davanti agli occhi!
               Qualcheduno s’abbuffa della stima di un altro,
               mentre l’orgoglio, pazzo, se ne resta a digiuno!

               Ma guarda questi principi greci! Siamo al punto
               che batton sulla spalla di quel cialtrone d’Aiace
               come se già tenesse il suo piedone
               sul petto del prode Ettore, e la grande Troia

               urlasse già di terrore.



              ACHILLE
               Eccome se ci credo! Non mi passano davanti
               come dei tirchi a un mendicante, senza concedere
               uno sguardo o una parola buona? Forse che

               le mie imprese se le sono dimenticate?


              ULISSE

               Signore, il tempo, grasso mostro d’un ingrato,
               ha sulla schiena una borsa dove infila elemosine
               per dimenticarsene.
               Quegli scarti sono le buone azioni passate,

               divorate man mano che son fatte, e, fatte,
               dimenticate all’istante. La perseveranza,
               caro sire, tiene lustro l’onore: avere fatto
               è restare lì appesi, fuori moda,

               come un’armatura arrugginita
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