Page 2579 - Shakespeare - Vol. 2
P. 2579

nazioni  che  si  formavano,  cercavano  le  proprie  origini  in  quell’avvenimento
          primigenio cantato da Omero. La guerra di Troia che per noi è leggenda e
          mito  prima  di  essere  storia  remotissima  della  notte  dei  tempi,  per
          Shakespeare e per i suoi contemporanei era storia delle comuni origini delle

          stirpi  europee.  Il  confine  tra  leggenda  e  storia  era  molto  vago,  come  il
          concetto  nascente  della  profondità  e  delle  diversità  culturali  nelle
          stratificazioni  del  tempo.  E  il  drammaturgo  o  il  poeta  e  gli  altri  artisti  e
          scrittori  potevano  trattare  come  storia,  come  assieme  di  fatti  realmente

          avvenuti  nel  tempo  umano,  gli  avvenimenti  trattati  in  quella  vasta
          enciclopedia  che  erano  le  “materie”  ereditate  dal  Medioevo:  la  materia  di
          Bretagna come quella di Roma e di Grecia, e all’interno di questa la materia
          di Troia. E nella “materia di Troia” la vicenda dell’infelice amore di Troilo e

          Cressida era stata elaborata da spunti classici durante i secoli di mezzo, e
          trattata massimamente da Boccaccio e da Chaucer in due opposte maniere e
          direzioni, quella realistico-erotica del primo, quella cavalleresco-romantica del
          secondo,  quasi  a  documentare  le  due  maggiori  tendenze  della  narrativa

          medievale.  Nel Troilo,  Shakespeare  affronta  −  nei  termini,  naturalmente,
          della sua ormai collaudata idea del teatro − il corpus troiano, e dà anzitutto
          come una sintesi rinascimentale dei suoi temi omerici maggiori: i presupposti
          e  gli  sviluppi  della  guerra  di  Troia,  l’ira  di  Achille,  l’uccisione  di  Ettore,

          aggiungendo  ad  essi  l’apporto  medievale,  cioè  la  sottolineatura  delle
          differenze tra i due popoli ma tutta a vantaggio dei Troiani, e la vicenda di
          Troilo  che  tende  a  fissarsi  sull’opposizione  tra  il  giovane  amante  emblema
          dell’amore  fedele,  e  Cressida  simbolo  della  leggerezza  e  dell’inganno

          femminili, puniti alla fine dalla Provvidenza divina.
          Ma  Shakespeare  affronta  anche  il  problema  del  trattare  una  storia  già
          raccontata molte volte. Quest’ultima consapevolezza è evidente nel testo, sia
          direttamente  ed  esplicitamente  come  sottotema  della  vicenda  d’amore,  sia

          indirettamente  già  nell’uguale  peso  conferito  alle  fonti  classiche  e  a  quelle
          medievali:  se  da  un  lato  c’è  soprattutto  l’Iliade,  di  cui  il  colto  amico  di
          Shakespeare, George Chapman, dava proprio in quegli anni una memorabile
          versione;  dall’altro  ci  sono  Chaucer  che  gli  dà  il  titolo  del  dramma,  il

          “completamento”  dell’opera  di  Chaucer  da  parte  dello  scozzese  Robert
          Henryson, e le varie leggende su Troia raccolte nel Recuyell of the Historyes
          of  Troye di  William  Caxton  e  nel  cosiddetto Troy  Book di  John  Lydgate.
          Questo  il  gruppo  di  testi  attraverso  i  quali  si  esercita  su  Shakespeare  la

          pressione della tradizione. E lo interplay delle fonti con i loro giudizi e le loro
          interpretazioni indica la difficoltà affrontata dal drammaturgo per inserirsi con
   2574   2575   2576   2577   2578   2579   2580   2581   2582   2583   2584