Page 2574 - Shakespeare - Vol. 2
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testo della Arden.

              36 IV, v Dopo la solenne bastonatura ricevuta da Ford, Falstaff si è rifugiato, nel suo travestimento da
                 fattucchiera, nella sua locanda, dove viene a trovarlo il servo di Slender, che in realtà vuol parlare
                 alla fattucchiera che ha vista passare in istrada. Smesse le vesti femminili, Falstaff approfitta della
                 situazione  per  una  beffa  a  Pierino,  al  quale  afferma  di  avere  ricevuta  la  donna  in  camera  e  di
                 partecipare  del  suo  pensiero  profetico,  e  posando  da  indovino  per  procura  si  risolleva  dalla
                 frustrazione. Sopravvengono Evans e Caio ad annunciare all’oste il furto dei cavalli, e dopo un breve
                 soliloquio di Falstaff ecco la monna Spiccia che lo riconvince ad accettare il terzo appuntamento delle
                 donne nel parco.
              37 IV, v, 15 thine Ephesian. Il termine dell’oste, già adoperato nel secondo Enrico IV dove ha il senso
                 di  “peccatore  irredento”  (dalla  lettera  di  San  Paolo  agli  Efesii),  qui  forse  indica  solo  un  buon
                 compagnone,  un  compagno  di  bagordi.  Il  linguaggio  grandiloquente  dell’oste  sembra  voler
                 contrapporre ai falstaffiani i selvaggi e incolti appartenenti al mondo di Windsor.
              38 IV, v, 39 conceal. È un errore del Semplice al posto di reveal’, e l’oste se ne prende gioco.

              39 IV, v, 92-93 if my wind were but long enough, I would repent.  L’in-quarto  porta: if my wind were
                 but long enough to say my prayers, I would repent, che Hibbard accetta. Craik ritiene le parole to
                 say my prayers un’interpolazione esplicativa, e in realtà esse non mi sembrano necessarie al senso,
                 che è già chiaro. È il momento di massima depressione di Falstaff in uno stato d’animo o posa da
                 “Monsieur Remorse”, in questo breve e quasi sinistro episodio. Incomprensibili le obiezioni dei critici
                 alla  momentanea  e  ricorrente  resipiscenza  di  Falstaff.  Drammaticamente  magnifica  l’entrata  di
                 monna Spiccia e stupenda la battuta di Falstaff che chiude la scena.
              40 ATTO V Magnifica sezione finale dell’opera, ammirevole per la modulazione “aristofanesca” dei toni
                 dal realismo comico e farsesco al fantastico, al grottesco, al cerimoniale e rituale, al realistico ironico
                 e convenzionale della fine. I due intrighi rimanenti (il primo e il secondo) vi trovano soluzione in una
                 sorta  di  agnizione  comica;  Falstaff  è  smascherato  come  imbroglione,  le  fate  si  rivelano  come
                 finzione windsoriana, Anna Page è accettata come sposa di Fenton. Sul piano dell’azione esterna si
                 giunge  al  trionfo  definitivo  del  mondo  di  Windsor  e  alla  sconfitta  dell’individualismo  amoralistico  di
                 Falstaff.  Boito-Verdi  ne  fanno  una  “sconfitta”  dell’eroe  comico  romantico,  portatore  dei  valori
                 dell’anarchismo, della critica ai falsi valori stabiliti, del principio dell’ironia, del riso e della beffa come
                 sale  della  vita,  principio  che  è  visto  nel  cuore  stesso  dell’Essere.  Una  tale  “vittoria”  dell’ironia
                 romantica  non  esiste  naturalmente  in  Shakespeare.  Durante  quest’ultimo  atto  Falstaff  è  in  realtà
                 privo  di  ironia,  fa  nella  prima  scena  dei  drammatici  e  mesti  pronunciamenti  su  se  stesso,  sulla
                 fortuna  e  sulla  vita,  passa  poi  dall’eccitazione  all’esaltazione  sensuale  e  all’entusiastica  illusione  di
                 avere  sedotto  le  due  donne  e  di  esser  sul  punto  di  godersele  come  amanti,  poi  sprofonda  nella
                 coscienza  dello  scacco  e  nella  paura  dell’imprevisto  irrazionale,  non  senza  qualche  mesta
                 sopravvivenza di scetticismo, e soprattutto nella stanchezza senile e nell’accettazione della sconfitta
                 e di una umiliante cooptazione. La sua è una simbolica repressione con connotazioni sacrificali. Nella
                 prima scena, Falstaff congeda la messaggera e fa a messer Rivoletto un’esilarante relazione del suo
                 ultimo scacco, ma velata di mesta consapevolezza. Poi comincia la festa delle beffe, e Falstaff vi
                 modifica rapidamente il suo stato d’animo: conquistato da Eros, deluso e trasecolato e impaurito,
                 ma fino a un certo punto, poi rassegnato ma pronto forse a recitare un nuovo ruolo di pentito e di
                 simbolico “sacrificato”, stracco e insieme capace di qualche lucida frecciata.
              41 V, i, 2 È una credenza proverbiale, e in origine una tradizione pitagorica, che i numeri dispari siano
                 superiori  ai  pari  e  portatori  di  fortuna,  o  comunque  connessi  al  destino  di  una  persona.  Falstaff,
                 come dirà a Rivoletto, ha delle premonizioni sulle “cose meravigliose” che avverranno nella foresta.
              42 V, i, 21 because I know also life is a shuttle. Falstaff cita dalla Bibbia “autorizzata”, aggiungendo qui
                 alla  reminiscenza  da Samuele (la trave del tessitore è il subbio del telaio) un’altra sua memoria di
                 Giobbe, 7, 6: “I miei giorni passano più rapidi della spola d’un tessitore”.
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