Page 2575 - Shakespeare - Vol. 2
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43 V,  ii,  6 ...mum...  budget...  Le  due  parole  messe  assieme  formano mumbudget  che  è  gergo
                 bamboleggiante o infantile per “silenzio”, o secondo lo Oxford English Dictionary un gioco infantile in
                 cui è richiesto il silenzio. Non a caso lo sceglie quel ritardato di Slender, o, per lui, ironicamente, Anna
                 Page.
              44 V, v, 1-14 Il monologo classicheggiante di Falstaff, in qualche modo un inno all’amore, si conclude
                 con l’invocazione a Giove perché gli mandi un clima fresco per la sua foia, altrimenti, come si diceva
                 dei  cervi  che  dimagriscono  al  tempo  del  calore,  egli  rischia  di  vedersi  sciogliere  il  proprio  grasso.
                 L’espressione to  piss  one’s  tallow  è  proverbiale.  Nella  battuta  successiva,  la  foia  senile  di  Falstaff
                 chiama a sostegno la natura: si credeva alla virtù afrodisiaca delle patate (o più precisamente delle
                 batate o patate dolci “americane”) e delle radici dello Eryngium maritimum o agrifoglio di mare. Ho
                 sostituito l’eringio con la più nota mandragola. Per Greensleaves si veda la nota 22. Madonna Ford
                 gioca sulla omofonia di deer (cervo) e dear (caro), e dopo il rigo 20 si difende dall’assalto di Falstaff
                 comunicandogli precipitosamente che anche la Page è venuta con lei: una notizia che lancia Falstaff
                 in un’altra accesa tirata sensuale.

              45 V, v, 34 A questo punto il folio ha soltanto la didascalia Enter Fairies; l’in-quarto ne ha una ben più
                 vasta, completata ed emendata in vari modi dai singoli curatori. Monna Spiccia ha sostituito Anna
                 Page nella parte, che avrà imparata a memoria, della Regina delle Fate, sul livello realistico come
                 parte  della  controbeffa  di  madonna  Page.  Col  passaggio  dalla  prosa  ai  distici  rimati,  che  danno
                 l’effetto  dell’incanto  (Oliver),  si  entra  in  un  interludio  o masque  di  tipo  aristofanesco.  Falstaff,
                 scornato e rimbambito, è travolto dalla falsa mascherata, ma la sua battuta in prosa ai righi 79-80
                 mostra, come nota il Craik, che egli è ancora capace di un’osservazione scherzosa e ironica, e che il
                 suo terrore è vero sino a un certo punto. La scena è appunto aristofanicamente improbabile, illogica
                 e inverosimile: sia monna Spiccia che Evans (che perde i suoi difetti di pronuncia sino al rigo 125) e
                 gli altri sono irriconoscibili. L’elogio dell’Ordine della Giarrettiera, gloria locale di Windsor, e in qualche
                 modo anticipato dal nome stesso della locanda di Falstaff, culmina in un rituale analogo a quello che
                 nelle Eumenidi  eschilee  vede  le  Furie  trasformarsi  in  dèmoni  benefici,  e  nel Sogno  di  una  notte  di
                 mezza estate i folletti di Oberon tramutarsi in spiriti propizi. Craik ritiene che il passo complimentoso
                 recitato  da  monna  Spiccia  (e  che  rimanda  indecorosamente  al  gran  poema  di  Spenser  dove  la
                 Regina  delle  Fate  è  allegoria  della  regina  Elisabetta)  sia  un’aggiunta  fatta  da  Shakespeare  per
                 l’occasione della Festa della Giarrettiera tenuta a Westminster il 23 aprile 1597, che sarebbe per lui la
                 data  della  prima  rappresentazione  delle Comari.  Melchiori  ritiene  invece  che  Shakespeare  avesse
                 cominciato  con  lo  scrivere  un mask  per  quella  festa,  e  che  poi  lo  abbia  inserito  in  parte  nella  più
                 tarda  commedia.  Dopo  l’interludio  aristofanesco  con  celebrazioni,  canti  e  balli  dei  versi  35-78,  si
                 ricomincia a tornare, ma ancora in versi fino al rigo 100, alla dimensione realistica, a cominciare dalla
                 punizione fisica di Falstaff da parte delle fate e dalla lunga didascalia che segue al canto (cfr. nota
                 47). Nella prima battuta in versi di monna Spiccia-Regina delle Fate al v. 37, l’espressione  orphan
                 heirs  of  fixed  destiny  è  stata  intesa  in  vari  modi.  L’ho  interpretata  come  “esseri  senza  genitori
                 (com’erano le fate) e depositarie del destino immutabile”.

              46 V, v, 78 But, stay, I smell a man of middle earth! Evans vuole indicare il mondo umano, a mezza
                 strada  tra  il  cielo  e  l’inferno,  mentre  le  fate  come  spiriti  si  supponeva  che  svolazzassero  negli
                 interstizi tra i due mondi oltremondani. Middle earth  è  il  medioinglese middelerd, e il tutto rimanda
                 alle concezioni del mondo indoeuropee.
              47 V,  v,  100  (prima  didascalia)  Anche  questa  lunga  didascalia,  assente  nel  folio,  è  messa  assieme
                 diversamente dai vari curatori.
              48 V,  v,  118-124  Questa  battuta  di  Falstaff  è  stata  bersagliatissima  dai  critici  detrattori;  H.C.  Hart
                 (nell’edizione  del  1904  nel  vecchio  Arden  Shakespeare)  scriveva  che  il  linguaggio  della  battuta  è
                 “estremamente  non  falstaffiano”  ed  altri  l’han  ritenuta  un  residuo  d’una  prima  stesura  della
                 commedia.  Per  converso,  Oliver  ritiene  autentico  il  linguaggio,  e  fa  notare  che  anche  nel  primo
                 Enrico IV, dopo l’impresa di Gadshill, Falstaff aveva ammesso di essere stato imbrogliato, e che i
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