Page 2576 - Shakespeare - Vol. 2
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suoi conati di pentimento sono fin da sempre in lui ricorrenti (e senza sviluppo). A questo traduttore
                 non si presentano dubbi di tal genere. Falstaff prova le esperienze che prova, a dispetto di tutte le
                 etichette che gli vorrebbero appioppare i critici. Del resto, mi pare ben poco legittimo trinciare giudizi
                 su qualcosa che è statutariamente così ambiguo come il linguaggio di un personaggio teatrale: chi
                 può mai dire che questo desiderio di pentirsi di Falstaff, il suo riconoscere l’adeguatezza del castigo
                 per le proprie malefatte, non sia uno stato d’animo momentaneo motivato dalla stanchezza oppure
                 l’ultima delle sue magnifiche pose? Il grande attore e camaleonte linguistico è capace di questo e
                 altro. E il fruitore non può che accettare le sue parole in tutta la loro ambiguità. L’unica cosa certa è
                 che Falstaff è stato sconfitto da Windsor, e le sue ultime battute testimoniano che la sua reazione
                 non è propriamente cristiana.
              49 V,  v,  157 ignorance  itself  is  a  plummet  o’er  me.  Craik  parafrasa:  “sono  sceso  più  a  fondo  della
                 massima profondità dell’ignoranza, ed essa mi pende sul capo come uno scandaglio”. Un’immagine,
                 se si vuole, della spossatezza di Falstaff, anche espressiva.

              50 V, v, 220-221 Dopo la violenza degli insulti e la controbeffa a Page e alla moglie da parte del giovane
                 nobile Fenton, in questa battuta Falstaff esprime una sua magra consolazione.
              51 V, v, 228 Affiora la dimensione agreste del trionfo borghese su Falstaff, che in verità non par tipo
                 da  amare  la  campagna.  Il  distico  finale  (230-231)  è  un  ultimo  sberleffo  a  Falstaff  da  parte  del
                 gongolante Ford.
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