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PREFAZIONE







          Solo  verso  la  metà  del  nostro  secolo Troilo  e  Cressida  ha  trovato  un  suo

          pubblico a teatro, ed è stato “scoperto” dai critici come opera di sorprendente
          modernità e complessità; come già stava a indicare, in fondo, e fin dall’inizio
          della  sua  vita,  la  difficoltà  di  collocare  il  lavoro  in  un  qualche  genere  o

          sottogenere:  commedia,  come  lo  definiva  la  bizzarra  epistola  di
          presentazione,  certo  non  di  mano  di  Shakespeare,  che  accompagnava  l’in-
          quarto  del  1609,  o  tragedia,  com’era  considerato  per  la  sua  stessa
          collocazione  nell’in-folio  del  1623?  E  poi,  tragedia  vera  e  propria  o
          tragicommedia, o commedia satirica sulla linea di Ben Jonson, o satira tragica

          alla  maniera  di  John  Marston?  O  addirittura  dramma  d’idee  e  “dibattito
          filosofico” come l’ha considerato qualche critico del Novecento? Nella prima
          parte del nostro secolo, la critica anglosassone gli aveva trovato un posto tra

          i cosiddetti problem plays, prima di rendersi conto che “drammi problematici”
          sono  gran  parte  se  non  tutte  le  opere  teatrali  di  Shakespeare.  In  realtà  è
          proprio questa difficoltà di definire il Troilo e Cressida, difficoltà dovuta alla
          sua vistosa rottura dei confini convenzionali tra i generi, a renderlo più vicino
          e  apprezzabile  alla  sensibilità  di  oggi,  e  a  riscattarlo  dal  luogo  periferico

          dov’era stato confinato per secoli, com’è dimostrato dalla sintesi bibliografica
          ragionata  aggiunta  da  R.A.  Foakes  alla  sua  Introduzione  al  testo  nel New
          Penguin Shakespeare (1987), dove si vede che, con qualche eccezione, tutta

          la  critica  più  rilevante  della  tragedia  è  posteriore  alla  seconda  guerra
          mondiale, e che il Troilo è veramente una scoperta del nostro secolo.
          Il dramma fu scritto presumibilmente nel 1600 − così nella cronologia di K.
          Muir  e  S.  Schoenbaum  (1971)  −  subito  prima  dell’Amleto  e  qualche  anno
          prima delle maggiori tragedie. Ma è, anche più di questi capolavori, un’opera

          sperimentale  che  cerca  vie  nuove  per  l’immaginazione  teatrale,  un’opera
          tipica  di  questo  periodo  di  massima  maturazione  e  innovazione  del  teatro
          londinese.

          Che interesse poteva suscitare in un pubblico elisabettiano la vicenda remota
          della guerra di Troia? È facile rispondere “molto”, vista la grande diffusione
          della  cultura  classica  nell’Inghilterra  della  fine  del  secolo XVI,  e  il  grande
          fervore culturale di quella fiorente città, Londra, che era in quel periodo la
          prima capitale intellettuale d’Europa. Tutte le grandi casate del Rinascimento

          europeo, molte delle città che erano centri di cultura, e alcune delle nuove
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