Page 2573 - Shakespeare - Vol. 2
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Caio di parlare inglese. Ho cercato di renderlo abbastanza letteralmente, ma nell’originale l’errore è di
                 pronuncia  (turd  per third)  mentre  in  italiano  può  essere  soltanto  di  terminologia  (“sterco”  per
                 “terzo”).
              31 ATTO IV Dopo aver rintuzzato l’estraneo per la seconda volta, le donne rivelano le loro due beffe ai
                 mariti;  il  mondo  di  Windsor  ritrova  coesione  e  tutt’insieme  decide  di  castigare  Falstaff
                 definitivamente. Continua la gran vena esilarante del terzo atto, che qui incomincia (nella scena v e
                 poi nella i dell’atto seguente) a colorarsi di malinconia e di drammaticità. Nella scena maggiore, la ii,
                 Falstaff è costretto a scappare dalla casa di Ford travestito da vecchia fattucchiera, buscandosi una
                 scarica  di  bastonate.  Ma  il  beffato  (dalle  due  mogli)  è  anche  Ford.  Alla  scena  iv,  ricostituitasi
                 l’armonia, si prepara la beffa simbolica del bosco di Windsor. Sarà ancora monna Spiccia a tendere
                 l’esca a Falstaff. Intanto maturano le beffe dei due sotto-intrighi; nelle scene iii e v Caio ed Evans
                 attuano  la  loro  vendetta  sull’oste  facendogli  rubare  i  cavalli;  nella  scena  iv,  Page  e  la  moglie
                 complottano l’uno contro l’altro per far sposare Anna ciascuno al suo preferito; e, nella scena vi, è
                 Fenton che con l’aiuto dell’oste organizza la sua abduzione della ragazza. La tecnica è sempre quella
                 dell’affiorare  incrociato  dei  temi  e  degli  intrighi.  Trascurabili  i  fiumi  d’inchiostro  versati  sulla  vicenda
                 degli ospiti tedeschi dell’oste, che si cerca di riferire a fatti reali. Questo terzo intrigo trova soluzione
                 alla fine dell’atto, quando Fenton ricompensa l’oste per il danno subito.
              32 IV,  i  Interrogazione  volante  in  grammatica  latina  fatta  per  strada  dal  maestro  don  Ugo  Evans  al
                 ragazzetto Guglielmo Page su invito della madre; questa scenetta deliziosa è presente solo nel testo
                 più completo dello in-folio. Ho cercato di non far perdere del tutto il brio dell’episodio (che è parte del
                 mondo corale di Windsor) con una versione alquanto libera dei continui calembours del testo, e dei
                 malintesi  a  sfondo  sessuale  di  monna  Spiccia.  Se  le  due  donne  non  sanno  di  latino,  nemmeno  il
                 maestro dalla buffa pronuncia riesce ad evitare gli errori, e in definitiva è il piccolo allievo che se la
                 cava  meglio  di  tutti.  Il  linguaggio  scolastico  è  calcato  su  quello  della  famosa  grammatica
                 elisabettiana, A Short Introduction of Grammar di William Lilly e John Colet (1549 e 1577), il testo
                 ufficiale di latino per le Grammar Schools. Al rigo 14 accidence indica appunto la grammatica, che in
                 una prima parte morfologica parla degli “accidenti” o flessioni dei nomi e dei verbi.
              33 IV, i, 54-55 Monna Spiccia crede di avvertire allusioni e termini osceni nel gergo scolastico che parla
                 di casi genitivi e li esemplifica con horum, harum, horum che alle sue orecchie suonano come whore
                 e hare (prostituta), e fraintende genitive case (caso genitivo) per l’idiomatico Jenny’s case (il nicchio
                 di  Ginetta,  la  prostituta  locale).  Al  rigo  58 to hick and to hack, suggeriti a monna Spiccia da “hic,
                 haec, hoc”, sono forse voci gestuali allusive alle cose del sesso, senza un preciso significato. Che
                 “hic” sia da accostarsi a hiccup (singhiozzo causato dal troppo bere) non mi pare convincente. To
                 hack  è  usato  a II,  i,  48  nel  senso  di  “andare  con  le  prostitute”,  e  hack  per  prostituta  è
                 documentato.
              34 IV,  iv,  26 Herne the hunter. Questo personaggio, che risulta inventato da Shakespeare, è di tipo
                 popolare-folcloristico e ben si presta ad essere interpretato, come fa il Frye, come figura legata al
                 culto  delle  stagioni;  una  sorta  di  divinità  o  emblema  dell’inverno,  sacrificato  durante  una  festa  di
                 primavera. Si adatta anche ad essere maschera di un personaggio che ha funzioni di farmakos  o
                 capro  espiatorio,  intruso  cacciato  da  una  comunità  perché  si  pensa  sia  portatore  di  male.
                 Shakespeare lo associa alla foresta di Windsor, un luogo difficilmente ubicabile; secondo  IV, iv, 17
                 dovrebbe trattarsi del Gran Parco adiacente alla vecchia Windsor; ma V, ii, 1 parla del “fosso del
                 castello”  che  può  riferirsi  solo  al  Piccolo  Parco  accanto  al  castello  di  Windsor.  Un  problema  per  i
                 registi è decidere come Falstaff si travesta da Herne; con sulla testa le corna di cervo che promette
                 di procurargli monna Spiccia a V, i, 5-6, oppure con sul capo un’intera testa di cervo (come appare
                 in illustrazioni della fine del Settecento).
              35 IV, iv, 40 Questo verso dell’in-folio è seguito nell’in-quarto da un verso che dice: Disguis’d like Herne,
                 with  huge  horns  on  his  head,  e  che  giustifica  la  successiva  battuta  di  Page  (...in  this  shape...).
                 Perciò Hibbard e Craik lo inseriscono nel loro testo, ed io l’ho tradotto sebbene esso non si trovi nel
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