Page 2572 - Shakespeare - Vol. 2
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puritaneggianti, a una canzone libertina. Difatti madonna Page la contrappone ai Salmi, come aria
profana e volgare, da postribolo.
23 II, i, 196 Will you go, Anheers? Anheers è spiegato come corruzione dell’olandese mynheers (miei
signori), o diversamente e meglio, viste le propensioni dell’oste per le immagini orientaleggianti,
come ameers, corruzione di Emirs.
24 II, ii, 18 to your manor of Pickt-hatch. L’ultimo termine indica letteralmente una mezza porta
sormontata da ferri a punta per impedire di scavalcarla (Oxford English Dictionary), ma il nome era
in origine quello di qualche postribolo londinese, poi esteso ad indicare una qualche zona malfamata
di Londra, forse Clerkenwell. Falstaff vi pone ironicamente l’ipotetica residenza di Pistol.
25 II, ii, 126-130 È il soliloquio che ispira una delle commosse arie del Falstaff verdiano, ed è
significativo per chiarire il sentimento di Falstaff, che non si riduce al solo motivo venale. Indica
piuttosto, nel vecchio già frastornato dalle false buone notizie di monna Spiccia, l’indebolimento della
lucidità, l’insorgere dell’illusione e di troppo umane istanze amorose. Craik spiega l’iniziale Say’st thou
so come Is it even so? o Is that how matters stand? E il Go thy ways che segue è variazione del
Go thy ways, old Jack nella prima parte dell’Enrico IV, II, iv, 124. È un corporale desiderio di piacere
che suscita l’illusione vanitosa e patetica di Falstaff, e questo smarrimento di lucidità lo rende
vulnerabile dalle beffe di Windsor.
26 ATTO III Questa magnifica parte ha il suo centro nella famosa scena iii della “cesta del bucato”, in
cui Falstaff inizia la sua corte mescolando un sonetto di Sidney con qualche blasfema reminiscenza
biblica; ed è il primo e sfortunato scontro diretto tra Falstaff e Windsor, che poi egli riferisce con
sincerità “casanoviana” ed esilarante al preteso messer Rivoletto. Nella scena i si è conclusa la beffa
dell’oste ai due velleitari duellanti Caio ed Evans, e nelle scene ii e iv si sviluppano il motivo della
gelosia di Ford e la sottotrama di Anna Page, col suo famoso corteggiamento da parte di Slender. Il
mondo di Windsor, pur travagliato da queste turbe intestine, trova il modo di tenere a bada l’intruso
e di castigarlo. Nell’ultima scena Falstaff, reduce dal tuffo nel Tamigi, viene ancora tentato e
convinto dalla machiavellica monna Spiccia, e poi circuito di nuovo da Ford-Rivoletto, che però paga
l’inganno con un più forte accesso di gelosia. L’atto vede tutti gli intrecci in pieno svolgimento; il
mondo di Windsor si scatena contro l’anarchico cavaliere. Qualche difficoltà tecnica è nella divisione
tra gli atti II e III, che sembra la più artificiosa (il movimento dell’opera è in realtà continuo), e nel
nesso temporale tra la scena ii e la scena iii, che parrebbero essere in parte simultanee. Certo tra la
fine della scena ii e l’ingresso di Ford in casa a iii, 137, non pare che ci sia il tempo per l’incontro tra
Falstaff e le sue madame; ma il tempo teatrale è elastico, e si può anche pensare che Ford ne
abbia perso un poco a spiegare agli amici i suoi sospetti.
27 III, i, 15-24 La canzone canticchiata da Evans per farsi coraggio è una famosa lirica di Christopher
Marlowe, Come with me and be my love, assai popolare e messa in musica nell’ultimo decennio del
’500. Il parroco gallese la mescola col primo verso dell’ancora più famoso Salmo 137 (“Presso i fiumi
di Babilonia”) forse per riscattare il libertinismo della prima aria con un po’ di religiosa malinconia.
28 III, iii, 150 So, now uncape. Ho tradotto uncape come l’imperativo del verbo to uncape, che intendo
come termine venatorio per “togliere il cappuccio al falcone per lanciarlo verso la preda”, sebbene
questa accezione, come avverte Melchiori che dà una lettura eguale, non appaia documentata.
Oliver ritiene uncape immagine più del vestiario che della caccia (significherebbe “svestire”,
“scoprire”), e Hibbard e Craik emendano in escape (fuggi!) ironicamente rivolto a Falstaff nascosto
in casa da qualche parte. Il che è possibile, anche se non rispetta il principio della lectio difficilior.
29 III, iii, 180 (didascalia: Enter Ford, Page, Caius, and Evans) In una messinscena inglese che ho
visto, ma non ricordo dove e quando, si facevano rientrare in scena questi personaggi rotoloni l’uno
sull’altro giù per la scala, associandoli tutti in una dimensione buffonesca, con effetto esilarante e un
po’ rischioso, perché dopotutto essi non sono esattamente dei clowns ma dei personaggi realistici.
30 III, iii, 216 If there be one or two, I shall make-a the turd. È il più sfortunato tentativo da parte di