Page 2292 - Shakespeare - Vol. 2
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166 V, iii, 45-46 È molto significativo che Cassio si uccida con la spada che ha ucciso Cesare e che muoia
                 nel suo nome, “vendicando” con il suo suicidio quella uccisione. La congiura repubblicana si configura
                 sempre di più come un atto impossibile contro un Ordine forse ingiusto ma, alla fine, ineludibile.
            167 V, iii, 66-69 Messala interpreta esattamente la natura dell’errore fatale di Cassio: egli non aveva più
                 fiducia  nel  successo,  come  non  l’avrà  Bruto,  in  quanto  era  stato  preso  dalla  malinconia  che  crea
                 fantasmi (things that are not) e li fa passare per realtà. E il primo accenno di quella malinconia − in
                 quanto  senso  della  precarietà  di  tutto,  percezione  di  morte  e  vanità  −  si  era  avuto,  tra  Bruto  e
                 Cassio, subito dopo l’uccisione di Cesare. Atto che sempre di più, dunque, si configura come colpa
                 segreta e densissima, la quale reclama l’autopunizione, all’interno di un dramma politico che va a
                 toccare profonde radici antropologiche.

            168 V, iii, 71 the mother that engendered thee: cioè, la mente.
            169 V, iii, 84 Si ricordi la frase di Cicerone in I, iii, 34: But men may construe things after their fashion.
                 Tutto  è  soggetto  ad  interpretazione.  Quella  di  Cicerone,  di  fronte  ai  prodigi  della  notte  che
                 precedette la morte di Cesare, era scettica e relativistica. In quella stessa scena, l’interpretazione di
                 Cassio era stata antisimbolica e spavalda. Ma ora lo stesso Cassio ha interpretato male ogni cosa
                 perché l’ha letta simbolicamente, e si è ucciso per premonizione, non per realtà.
            170 V, iii, 94-96 Ecco, ancora, la conferma del potere sovrumano di Cesare, non semplice persona, ma
                 simbolo di un Ordine contro cui è vietato muoversi.
            171 V,  v,  2-3  L’episodio,  narrato  da  Plutarco  in  maniera  molto  più  articolata,  è  qui  fortemente
                 compresso, e tuttavia risulta, pur ellitticamente, comprensibile. In Plutarco, si legge che Bruto era
                 convinto che non molti dei suoi uomini fossero morti nella battaglia e voleva notizie sicure, e Statilio
                 si offrì di attraversare le linee nemiche e raggiungere l’accampamento: se la situazione fosse stata
                 favorevole avrebbe fatto segnali con una torcia prima di rientrare; e fece quei segnali, ma poi non
                 rientrò perché cadde in mano al nemico. Il fallimento di questa missione indica a Bruto che non c’è
                 più speranza.

            172 V,  v,  13 vessel  è  termine  biblico  usato  per  indicare  l’uomo  (plasmato  all’origine  dalla  creta  o
                 dall’argilla); per esempio nella Lettera ai Romani, 9, 22, si parla di Dio come del vasaio e di vari tipi di
                 uomini come di differenti vasi.
            173 V,  v,  17-20  Anche  per  Bruto,  il  Cosmo  Simbolico  ha  dato  il  suo  segno  definitivo.  Ma  anche  per
                 Bruto, forse, non si tratta che di un fantasma della mente.
            174 V,  v,  51-52  Come  già  Cassio,  anche  Bruto  nel  momento  del  suicidio  si  rivolge  direttamente  a
                 Cesare: può calmarsi, è vendicato. Il desiderio di morte di chi l’ha ucciso è più forte del desiderio che
                 lo spinse a dare quella morte. L’ideologia repubblicana tramonta dietro le ragioni segrete della storia
                 secondo l’interpretazione shakespeariana, che in parte è indebitata con quella dello stesso Plutarco.
                 Quest’ultimo, infatti, nella conclusione della Vita di Cesare, riassume rapidamente la vendetta che il
                 suo spirito compì sui repubblicani e conclude che soprattutto l’apparizione del suo fantasma a Bruto
                 «mostrò chiaramente che gli dèi erano offesi per l’assassinio di Cesare».

            175 V, v, 60 Cfr. sopra V, iv, 20-25.
            176 V, v, 69 sgg. L’elogio funebre di Antonio fa ora di Bruto un esempio di virtù e di umanità compiuta.
                 Non dovendo più simulare per un fine politico, come aveva fatto nella sua celebre orazione, Antonio,
                 che in quella aveva minato la nobiltà di Bruto per trasformarlo da “uomo d’onore” in “disonorato”,
                 consegna  alla  memoria  storica  il  paradigma  stesso  dell’uomo  politico  interessato  soltanto  al  bene
                 comune.
            177 V, v, 74-75 I quattro umori che, secondo la fisiologia del tempo, presiedevano alla formazione del
                 carattere degli uomini, e che di solito erano sbilanciati, con prevalenza di uno sugli altri, a costituire il
                 temperamento malinconico o flemmatico o collerico o sanguigno. In Bruto, secondo Antonio, essi
                 erano del tutto bilanciati, e perciò davano vita ad un uomo esemplare.
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