Page 2273 - Shakespeare - Vol. 2
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Note







               1 ATTO I In questa prima scena, il popolo romano si è riversato nelle strade per andare a celebrare il
                 trionfo  di  Cesare  per  la  vittoria  conseguita  a  Munda  (Spagna)  nel  marzo  del  45  a.C.  sui  figli  di
                 Pompeo. Il trionfo, nella storia, e anche secondo la narrazione di Plutarco, ebbe luogo nell’ottobre
                 del 45. La festa dei Lupercali (in cui situa temporalmente l’evento il tribuno Marullo al v. 67) veniva
                 tenuta a Roma il 15 febbraio. Shakespeare serra i tempi per collocare il dramma a ridosso di quelle
                 Idi di marzo del 44 in cui avvenne l’uccisione di Cesare. Inoltre, fin dall’inizio, il luogo privilegiato del
                 dramma si rivela essere uno spazio aperto, pubblico: qui, una strada di Roma, poi una piazza, di
                 nuovo una strada, e in seguito il Campidoglio, il Foro, il campo di battaglia.
               2 I, i, 11 Questo popolano è l’unico a tener testa ai tribuni, almeno sul piano dialettico e linguistico, e
                 comincia col giocare sulla doppia accezione di cobbler: a) calzolaio, b) pasticcione. Di fatto, si diverte
                 a fare il calzolaio pasticcione.
               3 I, i, 13-14 Altro gioco di parole, basato stavolta sulla omofonia di soles (suole delle scarpe che egli in
                 effetti ripara) e souls (le anime che con la coscienza tranquilla possono essere ricondotte sulla retta
                 via).
               4 I, i, 16-17 Altro gioco linguistico: be not out with me significa ‘non arrabbiarti’, ma poi diventa, nella
                 isotopia (del mestiere del calzolaio) attivata in conclusione di battuta, ‘se ti si logorano i tacchi’.
               5 I, i, 21 Ancora un gioco di parole basato sulla omofonia tra all e awl; bisticcio abbastanza comune a
                 quel tempo e registrato per esempio nel proverbio «Without awl (all) the cobbler is nobody».
               6 I, i, 21-23 Il ciabattino intende, prima, che la sua unica occupazione è il suo specifico mestiere e non
                 ha a che fare con il commercio (verosimilmente visto come uno scambio non pulito, scambio di cui
                 la politica, con la quale indirettamente polemizza, rappresenta il livello più equivoco) e, poi, che non
                 si immette neanche in faccende di donne, o meglio in “cose” di donne (connotazione sessuale di
                 matters  ricorrente  in  altri  luoghi  shakespeariani);  e,  in  questo  caso,  gioca  con  la  precedente
                 affermazione, quella per cui egli vive solo col punteruolo (icona del fallo).

               7 I, i, 23 In with all  troviamo  un’altra  equivocazione: with all  ‘con  tutto  ciò’,  withal  ‘tuttavia’,  with  awl
                 ‘col punteruolo’.

               8 I, i, 24 Il gioco linguistico avviene qui all’interno di una sola parola, recover: re-cover (cioè, ricoprire,
                 riparare le scarpe, secondo il suo mestiere) e, insieme, risanare. In tutti questi giochi, il ciabattino −
                 che usa il linguaggio con l’abilità di tanti arguti fools di Shakespeare − mostra comunque di seguire
                 una linea di pensiero che è più che ludica: lui sa fare il suo mestiere, e ha l’onestà del suo mestiere;
                 non solo, in quel mestiere, per sottile irruzione di altri significati, sono compresi altri mestieri − quello
                 del prete o del consigliere spirituale (mender of bad soles) e quello del chirurgo (a  surgeon  to  old
                 shoes). Il suo è un mestiere sano (A trade, sir, that I hope I may use with a safe conscience) e
                 che  risana;  un  mestiere  umile,  ma  pulito.  Viene  fuori,  in  questo  modo,  la  dignità  del  popolo,  a
                 confronto  con  l’arroganza  dei  potenti  (anche  questi,  i  tribuni  che  dovrebbero  fare  l’interesse  del
                 popolo e trattarlo bene) e, in seguito, con la finzione dei potenti, che lavoreranno sempre il popolo ai
                 propri fini.
               9 I, i, 37 Pompeo fu l’ultimo grande avversario di Cesare, che lo sconfisse a Farsalo nel 48.
              10 I, i, 51 I figli di Pompeo sconfitti nella battaglia di Munda.

              11 I,  i,  57  La  distanza  aristocratica  dei  tribuni  della  plebe  dal  loro  popolo  non  potrebbe  essere  più
                 esplicita, ma risultava già evidente sia nell’atteggiamento arrogante delle prime battute che nell’alto
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