Page 2535 - Shakespeare - Vol. 1
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cornamuse (traduco con «Zufolo»); Snout è un calderaio, e il suo nome si
riferisce ai beccucci dei recipienti (traduco con «Beccuccio»); Starveling (to
starve = “morire di fame”) è un sarto, e, tradizionalmente, gli uomini di
quel mestiere venivano rappresentati magri e sparuti (traduco con
«Agonia»).
Il dramma suggerirebbe una sostanziale distinzione di corporatura fra i suoi
personaggi. Oberon e Titania hanno presumibilmente la stessa statura dei
comuni mortali, e così anche Robin Goodfellow, che, pur essendo un
demone metamorfico, veniva comunemente concepito come un robusto
tanghero campagnolo. Ma le Fate sono indicate come minuscole creature
(dovrebbero essere addirittura invisibili) che possono nascondersi nel
cappuccio delle ghiande, corrono il rischio di annegare nel miele del
sacchetto d’un’ape, si fanno vento con le ali delle farfalle. Dei loro
minuscoli corpi Shakespeare parla nel passo, già richiamato, del Romeo e
Giulietta: «Mab… appare / non più grande d’un’agata che splende /
sull’indice a un priore. In volo, la tira una muta / d’invisibili farfalle sul naso
di chi dorme. / Le ruote del cocchio girano con raggi / di lunghe zampe di
ragno. Sono le redini / di lieve ragnatela, il mantice d’ali / di cavallette, i
finimenti d’umidi / raggi di luna; un osso di grillo / serve per la frusta, la
sferza è una membrana, / cocchiere un moscerino in livrea grigia / grande
meno della metà del verme / che gonfia il dito alle fanciulle pigre ecc.» (I,
iv, 54-66; la traduzione è di S. Quasimodo, Teatro completo di W.
Shakespeare, vol. IV, a cura di G. Melchiori, Vicenza 1976). Da chi, e come,
venivano rappresentate sulla scena queste Fate? Forse da bambini.
Comunque sia - e sarà compito dei registi risolvere il problema della
distinzione - la loro realtà fisica è affidata, com’è consuetudine in
Shakespeare, più alle parole che non ai corpi. È il linguaggio evocativo che
domina, e, naturalmente, chiede al suo pubblico una collaborazione
fantastica, la quale va ben al di là delle illusioni realistiche. Si pensi al
prologo dell’Enrico V. Qui è lo stesso Teseo - personaggio razionale - che
pur allude all’ausilio indispensabile della Fantasia, perché la
rappresentazione drammatica abbia luogo («I migliori», nel mestiere degli
attori, «non son altro che ombre. E i peggiori non son poi tanto male se un
po’ di fantasia li rabbercia», V, i, 210-11).
Fonti
A Midsummer Night’s Dream è uno dei pochi drammi di Shakespeare in cui
l’autore non sembra essersi servito di preesistente materiale “narrativo”, e
quando, in proposito, parliamo di “fonti” non si deve intendere molto di più
che alcune memorie occasionali e qualche spunto culturale - tutte cose
che non riconducono ad altro che a una normale genesi artistica (nessuna

