Page 2238 - Shakespeare - Vol. 1
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giovani, nello spirito del “mai troppo” e del “conosci te stesso”, attraverso
prove dure, di cui la più dura è assegnata a chi ha dato voce alla coscienza
degli altri, l’animoso Berowne, che però sarà ricompensato con la più
arguta e complessa ragazza del gruppo, «cuore di luce in avvenenza
oscura». Il lieto fine è rimandato, la commedia si conclude con geniale
innovazione con una separazione generale. E il contrasto fra le stagioni che
le fa da cadenza e chiusura fa risuonare, dopo la girandola di retoriche
presentate, il motivo della vita campestre umile e semplice, con le sue
esperienze liete, e quelle che liete non sono. Ma che sono, se prese con
serenità, pazienza, pietà e ironia, aspetti accettabili della vita.
Sono queste ragioni della realtà, le “aspre parole” del rinascimentale
saggio Mercurio, dopo i melodiosi accordi d’amore della lira di Apollo?
L’asserzione finale, se pure è genuina, conserva adeguatamente la sua
ermeticità. Come quell’eco contraddittoria che accompagna
misteriosamente le prime apparizioni del titolo: pene d’amore perdute o
vinte? Ermete Trismegisto ci direbbe che siamo tutti predestinati, che
l’essenziale è tutto stabilito in anticipo dal destino, e che, per dirla con le
parole dell’ultimo Tolstoj, probabilmente «tutto è inutile». Come ogni
impresa umana, le pene d’amore sono sempre e nello stesso tempo utili e
inutili, vinte e perdute.
Nota al testo
Titolo
Il titolo partecipa della vacillazione e incertezza che caratterizzano quasi
tutte le testimonianze elisabettiane. La prima stampa, l’in-quarto del 1598,
reca il titolo Loues Labors Lost, che può intendersi come Love’s Labour’s
Lost (La pena d’amore è perduta), così come appare nell’in-folio del 1623 e
nella tradizione, oppure come Love’s Labours Lost (Le perdute pene
d’amore) che è abbastanza vicino al titolo italiano sanzionato dall’uso,
Pene d’amor perdute. Altre due varianti sono attestate: quella di un
versificatore contemporaneo, Robert Tofte, che nel 1598 cita la commedia
come Loues Labour Lost (Pena d’amor perduta) e quella usata da Francis
Meres in un suo famoso e controverso elenco di opere di Shakespeare in
Palladis Tamia dello stesso anno 1598, Loue Labors Lost. Il Meres parla in
realtà di due commedie di Shakespeare, Loue Labors Lost e Loue Labours
Wonne (Pene d’amore vinte), e fino al 1953 gli specialisti hanno spiegato
l’accoppiamento in vari modi: che il Meres alludesse a un titolo alternativo
di una delle commedie di Shakespeare assenti dal suo elenco, quali La
bisbetica domata o Molto rumore per nulla; che si tratti di una commedia

