Page 2235 - Shakespeare - Vol. 1
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istanza linguistica dominante è l’esigenza del plain speech, il linguaggio
semplice della nuda veritas, e il rifiuto dell’ampollosità e della falsa retorica
del parlare “barocco”. È noto che ciò, nel Rinascimento europeo, è una
controistanza rispetto a quella del linguaggio gonfio, sensazionale e
sorprendente delle varie forme di concettismo, ed è anche essa una forte
esigenza epocale, ad esempio nelle aspirazioni arcadiche e bucoliche
cinquecentesche, per diventare ancora più forte e dominante nel secolo
successivo. Non a caso il primato etico del linguaggio chiaro e semplice che
Elam (1984) indica nella nostra commedia è simile al ben noto ideale
linguistico della Royal Society (1662), e a quello dell’Accademia
dell’Arcadia fondata a Roma nel 1690, la quale opponeva al “cattivo gusto”
dello stile barocco il linguaggio semplice e spontaneo, naturale e
“cartesiano” dell’improvvisazione pastorale. Altri critici han definito il
“movimento” ideale di Pene d’amor perdute «un passaggio dall’illusione
alla realtà» (McLay, 1967), o un passaggio dal parlare arguto senza
rapporti col reale al rispetto delle parole come simboli della realtà (Berry,
1972), o infine un passare da un «linguaggio del potere» ad uno di vera
comunicazione (S. Wells, 1972). Il contrasto nella commedia è tra gli
eccessi retorici “peccaminosi” dei giovani navarresi, riflessi in parodia e
caricatura dal gruppo di eccentrici “arcadi” che li circonda, e il realismo
arguto, à la Hobbes, delle damigelle francesi: com’era già stato in qualche
modo intuito ed accennato da Walter Pater (1889), per cui la commedia si
costruiva sulla sottile presa in giro che Shakespeare vi fa dello stile
eufuistico da lui stesso scelto. Ma Elam nota pure che la proclamata
conversione del giovane Berowne, auspicata anche per gli altri giovani, al
“parlare semplice”, in realtà nel play non ha mai luogo, e che anche le
prove d’amore imposte alla fine, con qualche tenera illusione utopistica e
moralistica, dalle ragazze di Francia ai loro innamorati, rientrano
ironicamente nella generale iperbolicità della pièce. Che sarebbe dunque
piuttosto una gaia presentazione dell’iperbolicità delle intenzioni umane,
sia nella felice e folle gioventù che nell’infelice e altrettanto folle vecchiaia.
Nei suoi episodi giovanili la commedia è intanto una vera festa della
conversazione spiritosa e galante nella sua epoca d’oro, quando l’arte del
conversare arguto era raccomandata dai trattati di corte e dai programmi
delle accademie, e il modo colto di parlare dei nobili era scimmiottato dalla
sottocultura delle classi inferiori, come avviene nei pezzi di bravura
oratoria, negli happenings e negli s h o w s linguistici che sembrano il
principale passatempo della bizzarra “corte” silvestre: una parte che nella
commedia è altrettanto estesa di quella giovanile, e con essa si alterna e
intreccia nello sviluppo dell’azione. Ma nei giovani navarresi la gran gara di
parole non è priva di comica hubris, e il giovane re che progetta
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