Page 2062 - Shakespeare - Vol. 1
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Ah, perché insisti sul nome «mani»?
È come se chiedessi a Enea di raccontare due volte la sua storia
come Troia fu bruciata e lui ridotto in sventura. 163
Non maneggiare quel tema, non parlare di mani,
a ricordarci sempre che non ne abbiamo.
Vergogna! che folle forma do al mio discorso,
come se potessimo dimenticare di non aver mani,
se Marco non nominasse la parola «mani»!
Su cominciamo. Mia gentile ragazza, mangia questo.
non c’è da bere? Ascolta quel che dice, Marco;
io so interpretare tutti i suoi segni martoriati:
dice che non beve altra bevanda che lacrime
infuse di dolore e fermentate sulle sue guance.
Lamento silenzioso, 164 io imparerò i tuoi pensieri;
diventerò così esperto della tua mimica muta
come gli oranti eremiti delle loro sacre preghiere;
non potrai sospirare, levare i tuoi moncherini al cielo,
battere ciglio, accennare, inginocchiarti, fare un segno,
senza che io da tutto questo estragga un alfabeto
e con pratica costante impari a capirne il senso.
RAGAZZO
Nonno caro, smetti questi amari e profondi lamenti,
rallegra mia zia con qualche storia piacevole.
MARCO
Ahimè, il tenero ragazzo, mosso a compassione,
piange a vedere la tristezza del nonno.
TITO
Sta’ buono, tenero virgulto; tu sei fatto di lacrime,
e le lacrime dissolveranno presto la tua vita.
Marco colpisce il piatto con un coltello.
A cosa dai colpi, Marco, con il tuo coltello?
MARCO
A ciò che ho ucciso, mio signore: una mosca.
TITO