Page 566 - Giorgio Vasari
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VITA D'ANDREA DAL CASTAGNO DI MUGELLO E DI
               DOMENICO VINIZIANO PITTORI



               Quanto sia biasimevole in una persona eccellente il vizio della invidia,
               che in nessuno doverebbe ritrovarsi, e quanto scelerata et orribil cosa
               il cercare sotto spezie d'una simulata amicizia, spegnere in altri, non

               solamente  la  fama  e  la  gloria,  ma  la  vita  stessa,  non  credo  io
               certamente che ben sia possibile esprimersi con parole, vincendo la
               sceleratezza  del  fatto  ogni  virtù  e  forza  di  lingua,  ancora  che
               eloquente. Per il che, senza altrimenti distendermi in questo discorso,

               dirò solo che ne' sì fatti alberga spirito, non dirò inumano e fero, ma
               crudele  in  tutto  e  diabolico,  tanto  lontano  da  ogni  virtù,  che  non
               solamente non sono più uomini, ma né animali ancora, né degni di
               vivere.  Conciò  sia  che  quanto  la  emulazione  e  la  concorrenza,  che

               virtuosamente operando cerca vincere e soverchiare i da più di sé per
               acquistarsi  gloria  et  onore,  è  cosa  lodevole  e  da  essere  tenuta  in
               pregio  come  necessaria  ed  utile  al  mondo,  tanto  per  l'opposito,  e
               molto  più,  merita  biasimo  e  vituperio  la  sceleratissima  invidia,  che

               non sopportando onore o pregio in altrui si dispone a privar di vita chi
               ella non può spogliare de la gloria, come fece lo sciaurato Andrea dal
               Castagno, la pittura e disegno del quale fu per il vero eccellente e
               grande, ma molto maggiore il rancore e la invidia che e' portava agli

               altri  pittori,  di  maniera  che  con  le  tenebre  del  peccato  sotterrò  e
               nascose lo splendor della sua virtù.

               Costui  per  esser  nato  in  una  piccola  villetta  detta  il  Castagno,  nel
               Mugello,  contado  di  Firenze,  se  la  prese  per  suo  cognome  quando
               venne a stare in Fiorenza; il che successe in questa maniera; essendo
               egli nella prima sua fanciullezza rimaso senza padre, fu raccolto da

               un suo zio che lo tenne molti anni a guardare gli armenti, per vederlo
               pronto  e  svegliato  e  tanto  terribile,  che  sapeva  far  riguardare  non
               solamente  le  sue  bestiuole,  ma  le  pasture  et  ogni  altra  cosa  che

               attenesse al suo interesse. Continuando, adunque, in tale esercizio,
               avvenne che fuggendo un giorno la pioggia, si abbatté a caso in un
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