Page 2550 - Shakespeare - Vol. 1
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ERMIA
E nel bosco dove solemmo, tu ed io,
distenderci su sponde di primule albicanti,
versando i segreti dei nostri cuori ardenti,
colà c’incontreremo, il mio Lisandro ed io.
E là, da Atene, altrove volgerem lo sguardo,
vago di nuovi amici e di stranieri incontri.
Addio, diletta compagna dei miei giochi; prega per noi,
e possa la buona sorte concederti Demetrio!
Mantieni la promessa, mio Lisandro! I nostri occhi
dovremo affamar del cibo degli amanti, 10
fino a domani, a mezzanotte fonda.
Esce Ermia.
LISANDRO
Oh sì, mia Ermia. Elena, addio.
E come tu per lui, per te possa Demetrio consumarsi.
Esce Lisandro.
ELENA
Oh quanto una persona può essere più felice d’un’altra!
Pensano in Atene ch’io sia bella quanto lei.
Ma a che pro? Demetrio non lo pensa;
e ciò che gli altri sanno egli non vuol sapere.
E com’egli è in errore a infatuarsi dello sguardo d’Ermia,
in errore son io ad ammirare i pregi di costui.
Le cose più umili e vili, prive d’armonia,
Amor trasmuta in forme dignitose e belle.
Ei non guarda con gli occhi, ma con il sentimento,
ed è per questo che l’alato Cupido vien dipinto cieco.
Né il suo cervello ha mai avuto il senso della saggezza.
Ali ed occhi bendati stanno a significare un’inconsulta foga.
Ed è così che Amore è concepito fanciullo,
lui che sovente s’inganna quando sceglie.
E come, giocando, i monelli si mancan di parola,
così il pargoletto Amore è sempre uno spergiuro.
Prima di mirare gli occhi d’Ermia,
Demetrio grandinava giuramenti
d’esser soltanto mio. E quando
la grandine sentì il calore d’Ermia,
tutta si sciolse e giù precipitarono i suoi voti.

