Page 2105 - Shakespeare - Vol. 1
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Allora, benevolo uditorio, sia noto a voi
che furono Chirone e il dannato Demetrio
ad assassinare il fratello del nostro imperatore;
e furono loro a violentare nostra sorella.
Per le loro atroci colpe i nostri fratelli furono decapitati,
e nostro padre disprezzato nel suo pianto e privato con vile inganno
di quella mano leale che combatté e vinse per Roma
e mandò alla tomba i suoi nemici.
Infine io fui ingiustamente esiliato,
chiuse per me le porte, cacciato via piangendo
a mendicare conforto dai nemici di Roma,
che soffocarono la loro inimicizia nelle mie lacrime sincere
e mi aprirono le braccia accogliendomi da amico.
Io sono il rinnegato, sappiatelo,
che col mio sangue ho preservato il benessere di Roma
e le ho tolto dal petto la lama del nemico
ricevendo il ferro nel mio corpo audace.
Ahimè, voi sapete che non mi vanto, io:
le mie cicatrici possono testimoniare, benché mute,
che il mio resoconto è giusto e vero.
Ma basta, mi sembra di dilungarmi troppo
citando i miei indegni pregi. Oh, perdonatemi:
se non hanno amici accanto, gli uomini si pregiano da soli.
MARCO
Ora è il mio turno di parlare. Guardate il bambino:
lo ha partorito Tamora,
il frutto di un Moro miscredente,
principale architetto e macchinatore di queste sventure.
Lo scellerato è vivo, in casa di Tito,
e, come dovrà testimoniare, tutto ciò è vero.
Giudicate ora quale ragione aveva Tito di vendicare
questi soprusi indicibili e intollerabili,
per qualsiasi uomo insopportabili.
Ora avete udito la verità. Che dite, Romani?
Se abbiamo sbagliato in qualcosa, mostratecelo,
e da questo posto dove ci vedete parlare,
i poveri resti degli Andronici,
mano nella mano, ci butteremo giù a capofitto,
e sulle ruvide pietre esaleremo la nostra anima,
mettendo una comune fine alla nostra casata. 293