Page 702 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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derogare al merito della causa, né fare che per vera si accetti l’altra opinione, con più
          apparenti ragioni adornata più che dimostrata.
          SALV. Adunque concedetemi almeno che i fautori del Copernico abbiano ributtate le
          ragioni d’Aristotile e di Tolomeo, alle quali il mondo sin ora aveva prestato assenso,
          stimandole concludenti: e voi devrete almeno restar neutrale, sin che vengano alla luce
          più chiare dimostrazioni di quelle che sin ora sono uscite; ed i Copernicani, che hanno
          scoperte le fallacie d’Aristotile e di Tolomeo, non dovranno esser derisi in grazia della
          sola autorità di quei grand’uomini, li quali, benché così grandi, da gl’istessi Copernicani
          sono stati fatti restar assai piccolini» (Opere, VII, p. 546).
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              Questa  «saldissima  dottrina»  è,  naturalmente,  l’argomento  difeso  dal  papa  Urbano
          VIII al quale qui si allude come a «persona dottissima ed eminentissima». Galileo fu
          obbligato a introdurre tale argomento a conclusione del libro. Il padre Riccardi, che in
          un  primo  momento  si  era  occupato  della  censura  del  testo,  scrive  da  Roma
          all’inquisitore fiorentino che, poiché il libro sta finalmente per pubblicarsi a Firenze, lo
          autorizza  a  permettere  o  no  la  pubblicazione,  e  prosegue:  «Ricordandole  però,  esser
          mente di Nostro Signore [il papa Urbano VIII] che il titolo e il soggetto non si proponga
          del flusso e reflusso, ma assolutamente della mattematica considerazione della posizione
          Copernicana intorno al moto della terra, con fine di provare che, rimossa la rivelazione
          di  Dio  e  la  dottrina  sacra,  si  potrebbono  salvare  le  apparenze  in  questa  posizione,
          sciogliendo tutte le persuasioni contrarie che dall’esperienza e filosofia peripatetica si
          potessero  addurre,  sì  che  non  mai  si  conceda  la  verità  assoluta,  ma  solamente  la

          hipotetica e senza le Scritture» (Opere, XIX, pp. 327 e 330 dove, in una nota del 16
          luglio 1631, si insiste sulla stessa condizione).
          Ciò  nonostante,  la  conclusione  della  commissione  incaricata  di  esaminare  il  Dialogo
          incluse, tra le cose da considerare «come corpo del reato», l’«aver posto la medicina del
          fine [l’argomento del papa] in bocca di uno sciocco, et in parte che neanche si trova se
          non con difficoltà, approvata poi dall’altro interlocutore freddamente, e con accennar
          solamente e non distinguer il bene, che mostra dir di mala voglia» (Opere, XIX, p. 226).
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             Può darsi che sia un rimando all’Ecclesiaste, 3, 9-11: «9. Che vantaggio ha chi si dà
          da  fare  con  fatica?  10.  Ho  considerato  l’occupazione  che  Dio  ha  dato  agli  uomini,
          perché si occupino di essa. 11. Egli ha fatto bella ogni cosa a suo tempo, ma Egli ha
          messo la nozione dell’eternità nel loro cuore, senza però che gli uomini possano capire
          l’opera compiuta da Dio dal principio alla fine». Tuttavia, questo e altri passi di Galileo
          richiamano alla memoria anche il testo di Senofane: «Non è che da principio gli dèi
          abbiano  rivelato  tutte  le  cose  ai  mortali,  ma  col  tempo  essi  cercando  ritrovano  il
          meglio», Diels-Kranz, Die Fragmente der Vorsokratiker, I-III, Berlino, 1951-1952 (21

          B 18, trad. it., I Presocratici, Laterza, Roma-Bari 1981, p. 172).
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             In altri due frammenti di quelli che Galileo decise di non pubblicare (Opere, VII, p.
          545), e che non vengono messi in bocca all’uno o all’altro dei tre interlocutori, sebbene
          sia ovvio che a parlare in quel modo avrebbe potuto essere solo Sagredo o Salviati, si
          legge quanto segue «De’ 2 sistemi, uno è candido e l’altro nero: chi non è cieco affatto,
          dovrà conoscere il bianco: però ditemi liberamente qual vi pare il bianco».
          «Io vi cedo in teologia, tanto quanto in materia di scultura cedo al Gran Duca: tutta via
          ho un solo piccolo cammeo, più bello di tutti quelli del Gran Duca: e così, in questo solo




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