Page 2342 - Shakespeare - Vol. 4
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103 vv.  1053-54  «Aggiungo  alla  livrea  dell’infamia  un  segno  di  fama  che  in  qualche  modo  mitigherà
                 l’infamia» (J.C. Maxwell ed., The Poems, Cambridge 1966).
            104 v. 1072 Allude a un contagio venereo, come al v. 825.

            105 v. 1080 Stuprata dal cognato Tereo e trasformata in usignolo (Metamorfosi, VI, 424-726), Filomela-
                 usignolo fornirà a Lucrezia un ovvio alter ego per parlar di sé a se stessa (vv. 1128 sgg.).
            106 v. 1129 C.S. Lewis (English Literature in the Sixteenth Century, cit., p. 499) trova difficile non ridere
                 dell’immagine di Lucrezia, pur attribuendone parzialmente la colpa ai futuri nonsense di Edward Lear.
            107 vv. 1135-36 L’idea di Filomela-usignolo che per non addormentarsi e continuare a cantare si tiene
                 una spina pressata contro il petto era diffusa.
            108 vv. 1181-206 Ha inizio il “testamento” di Lucrezia, genere medievale in cui eccelse Villon e ancora
                 ben vivo ai tempi di Shakespeare, come attesta The Will di John Donne.
            109 v. 1308 Secondo la prassi usuale, Lucrezia specifica il luogo da cui il mittente scrive.
            110 v. 1329 L’acqua e la pena fan tanto più rumore quanto meno sono profonde.

            111 v. 1330 Come il vento fa calare l’acqua, così le parole con la pena. Lucrezia, che «ammucchia la
                 sua  viva  pena»  (v.  1317)  per  spenderla  quando  abbia  Collatino  accanto,  non  intende
                 compromettere il capitale.
            112 vv. 1366-568 Ha qui inizio un lungo passo, in cui Lucrezia (il cui stupro era già stato paragonato al
                 sacco di una città) trova nel suo quadro “troiano” una ricca fonte di comparazione per la propria
                 sventura.  Oggetto  di  oziose  speculazioni  circa  possibili  fonti  visive  specifiche  (quadri  o  arazzi),  il
                 brano  ha  un  ovvio  antecedente  nel  primo  libro  dell’Eneide,  vv.  450-93,  dove,  in  un  tempio  di
                 Giunone, Enea si imbatte in un quadro che rappresenta l’assedio di Troia, e dunque l’origine delle
                 sue  sventure.  Come  Enea,  nell’osservare  il  quadro  (in  cui  riconosce  anche  se  stesso),  «pasce  il
                 cuore  nella  vana  pittura,  gemendo  molto,  rigando  d’un  fiume  di  lacrime  il  volto»,  così  anche
                 Lucrezia, che in Sinone troverà il ritratto fedele di Tarquinio.

            113 v. 1372 In Troilus and Cressida  (IV, v, 219) sono le torri «lascive» di Troia a baciare le nubi:  Yon
                 towers, whose wanton tops do buss the clouds.

            114 vv. 1401-28 Come notato da E. Gombrich (Art  and  Illusion,  London  1968,  p.  211)  la  descrizione
                 dell’arringa  di  Nestore  ha  un  parallelo  quasi  letterale  nella  descrizione  di  Filostrato  (Eikones,  I,  4;
                 cinque edizioni latine tra il 1517 e il 1550, tradotto in francese nel 1578) di un quadro sull’assedio di
                 Tebe: «Alcuni sono visti di figura piena, altri con le gambe nascoste, altri dalla cintola in su, poi solo i
                 busti di alcuni, solo le teste, solo gli elmetti, e infine solo le punte delle lance». Sottolineando prima la
                 perfetta imitazione del visibile (vv. 1366-86), poi la perfetta resa dell’espressione (vv. 1387-1407),
                 infine  la  capacità  di  suggerire  all’occhio  le  parti  non  viste  (vv.  1408-28),  la  descrizione  del  quadro
                 segue anche i criteri con cui Plinio misura la perfezione della pittura. Prima Zeusi, che rende ciò che
                 vede  l’occhio;  poi  Parrasio  «aggiunge  vivacità  all’espressione»  e  impara  a  dare  l’impressione  delle
                 parti  posteriori  «suggerendo  anche  ciò  che  nasconde»;  infine  Apelle  che  combina  con  grazia
                 l’eccellenza degli altri (Historia Naturalis, XXXV, 61-96); cfr. C. Hulse,  Metamorphic Verse, Princeton
                 1981, p. 182.
            115 vv. 1478-84 Lucrezia paga a causa di Tarquinio come Troia a causa di Paride e come l’umanità a
                 causa del peccato originale.
            116 vv. 1487-88 Il sacco di Troia avviene nottetempo.

            117 vv. 1501-68 R.K. Root, rilevando la fonte virgiliana (Eneide, II, 13-267), nota che la descrizione di
                 Sinone prova che Shakespeare, malgrado il suo notorio little Latin, aveva letto l’originale, e non solo
                 la  traduzione  cinquecentesca  di  Phaer  (Classical  Mythology  in  Shakespeare,  New  York  1903,  p.
                 107).
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