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a ritenere l’opera come composta non prima del 1587 e non oltre il 1594.
Va ricordato che il 1593 fu l’anno della peste, con conseguente diaspora
degli uomini di teatro. I più fortunati trovarono asilo lontano dalla capitale,
nelle dimore di nobili mecenati. Poiché in quest’anno esce il poemetto
mitologico Venere e Adone, che Shakespeare volle dedicare all’allora
diciannovenne Conte di Southampton (possibile dedicatario anche dei
Sonetti), non è da escludere che la commedia sia stata composta e
rappresentata nella residenza di campagna di sì alto patrono, con attori
dilettanti sicuramente imberbi, con la possibile eccezione dell’interprete di
Lanciotto, il cui ruolo non è dei più facili. Lo stesso fa Thomas Nashe,
nell’anno della peste: ospite dell’Arcivescovo di Canterbury, avrà per attori i
ragazzi del coro, e un professionista nel ruolo del clown.
Fonti
Le fonti dei Due gentiluomini son chiaramente rintracciabili, ma a
differenza di altri drammi non ce n’è una che abbia una chiara funzione
trainante. Il poeta vi attinge qualche situazione centrale ai fini della
definizione della trama, nonché una serie di dettagli di per sé irrilevanti ma
che in futuro gli forniranno spunti e pretesti per più di un dramma a venire.
Né mancano i puri e semplici riecheggiamenti verbali - autentiche “spie” di
letture recenti.
Di tali fonti si è detto nella Prefazione al presente testo. Per il motivo del
triangolo uomo-donna-uomo, oltre ad Euphues (1578) che offre al poeta lo
spunto iniziale, occorre tener presenti anche il Lyly garbato autore di
artificiali commedie leggere: Saffo e Faone (Sapho and Phaon, 1583),
Endimion, la migliore di esse (1587), Midas (1589). Il Lyly è precursore
della commedia pastorale-romantica elisabettiana, e maestro di
Shakespeare nell’arte del dialogo arguto e brillante. Quanto alla storia di
Tito, Gisippo e Sofronia, essa deriva dal Decamerone (X, viii) tramite la
versione di Sir Thomas Elyot (1531) inclusa nel libro II di The Governour
(cap. 12).
Va detto che nella versione inglese le situazioni sono modificate sì da
accentuare la nobiltà di spirito dei due protagonisti, mentre Boccaccio a un
certo punto fa dire a Tito: «Le leggi d’amore sono di maggiore potenzia che
alcune altre. Elle rompono non che a quelle della amistà, ma le divine! [...]
Oltre tutto, io son giovane, e la giovinezza è tutta sottoposta all’amorose
leggi. Quello dunque che ad Amor piace, a me convien che piaccia.
L’oneste cose appartengono a’ più maturi: io non posso volere se non
quello che Amor vuole...». A questa “mirabile istoria” si rifà un perduto
dramma di anonimo, La storia di Tito e Gisippo (in scena nel 1577); e vi si